L’ISOLA DEI CANI – Recensione

L’ISOLA DEI CANI – Recensione

Wes Anderson al suo nono lungometraggio e secondo film d’animazione in stop motion, tecnica portata al successo da Willis O’Brien e dal suo allievo Ray Harryhausen, dopo l’esordio nel mondo animale/animato con Fantastic Mr. Fox, realizza L’Isola dei Cani, racconto dalla rappresentazione e costruzione favolistica ambientato nel Giappone del 2037, premiato con l’Orso d’Argento alla Miglior Regia nell’ultima Berlinale.

La pellicola focalizza l’attenzione sul dilagante sentimento della discriminazione, mostrandone con intelligente arguzia le assurde motivazioni denudandole da qualsiasi filtro e giustificazione, in modo da trasmettere e far percepire con ulteriore forza emotiva il messaggio di speranza racchiuso ed affidato all’avventura del dodicenne Atari Kobayashi.

Il ragazzo è deciso a ritrovare il proprio amico a quattro zampe finito in quarantena, per ordine del dittatoriale zio sindaco della città di Megasaki, nell’arcipelago giapponese, tra i cumuli di immondizia della denominata isola dei cani, con l’obiettivo di debellare la pericolosa influenza canina dall’inarrestabile diffusione.

Il giovane in seguito al brusco atterraggio con il piccolo veicolo da lui pilotato e dirottato sul devastato appezzamento, inaspettatamente riceverà aiuto da un manipolo di cani meticci disposti a tutto pur di sfuggire alla deprimente situazione in cui sono costretti a sopravvivere.

Il piccolo branco affamato e stremato, Capo (Bryan Cranston), Rex (Edward Norton), Boss (Bill Murray), Duke (Jeff Golblum) e King (Bob Babalan), commosso dal coraggio e dalla devozione di Atari nei confronti del fedele compagno peloso smarrito, decide di accompagnarlo nella ricerca proteggendolo dagli uomini che gli danno la caccia per riportarlo a casa, innescando inconsapevolmente il dimenticato cambiamento.

L’intelligente sarcasmo e la pungente ironia della semplice e fluida narrazione che caratterizzano la vicenda, sottolineano, levando incisivamente, il grido di protesta e di indignazione verso una società apatica oramai assuefatta alla rassegnazione e sottomissione, incapace di reagire poiché soggiogata dal carismatico comportamento negativo e prepotente di chi stà in alto esclusivamente spinto dall’avido desiderio di supremazia.

Un umiliante stato sociale descritto ed espresso in ogni elemento della coinvolgente storia de L’isola dei Cani, in cui ogni individuo altro non è che una marionetta nelle mani di un astuto e diabolico burattinaio, che tuttavia, nonostante i vari tentativi, non riesce a schiacciare coloro in grado di alzare la testa e ribellarsi, avendo nel cuore e nell’anima valori e sentimenti quali l’onestà, l’accettazione e la pacifica e serena convivenza con il prossimo, per una conclusione di buona speranza e fiducia nel futuro a conferma di un’opera assolutamente da non perdere, dai riferimenti socio politici estremamente attuali.

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