La recensione del film con Elio Germano: Volevo Nascondermi, l’intenso e tormentato ritratto di Antonio Ligabue.
Il film non si limita a raccontare la biografia del pittore, ma entra nelle viscere della sua sofferenza, rendendola palpabile e coinvolgente. Un ruolo fondamentale in questo viaggio è svolto da Elio Germano, che interpreta Ligabue in modo tanto sorprendente quanto sconvolgente. L’attore, completamente irriconoscibile grazie a un trucco straordinario, non solo veste i panni del protagonista, ma ne assorbe e trasmette l’emotività dolorosa, riuscendo a dare corpo e anima a una figura segnato dal rifiuto sociale e dalla solitudine più estrema. Il suo è un personaggio che si fa portatore di un’umanità ferita e quasi animalesca, il cui desiderio di essere amato e compreso è continuamente ostacolato dalla durezza della vita e dalla ferocia di chi lo circonda.

La storia di Ligabue è un susseguirsi di emarginazione e violenza, un’esistenza segnata da traumi sin dall’infanzia. Figlio di un’emigrante italiana e abbandonato a una coppia svizzera che non può avere figli, il piccolo Antonio vive un’infanzia priva di affetto e accudimento, subendo maltrattamenti e allontanamenti. La sua aggressività lo porta a essere rinchiuso in un istituto psichiatrico e, infine, rispedito in Italia, dove la sua condizione non migliora. La gente lo disprezza e lo emargina, chiamandolo “El Tudesc”, e lo spinge sempre più verso la solitudine, un rifugio estremo in una capanna nei boschi. Qui, il suo unico punto di contatto con il mondo diventa l’arte, che gli consente di esprimere il suo tormento interiore e, forse, di ottenere finalmente un riscatto. Il suo incontro con lo scultore Renato Marino Mazzacurati, che lo introduce alla pittura, segnerà il punto di svolta per l’artista, permettendogli di emergere lentamente da quella trappola che la vita gli ha costruito attorno.

Volevo Nascondermi non è solo un biopic, ma un’opera che mette in luce le disuguaglianze sociali e le difficoltà di chi è considerato “altro”, “diverso”. La scelta di Diritti di raccontare il percorso di Ligabue non si ferma alla superficie della sua carriera artistica, ma scava in profondità nelle sue fragilità, nel suo bisogno di riscatto, nel suo disperato desiderio di esprimersi non solo come artista, ma anche come essere umano.
La regia di Giorgio Diritti è sobria ma emozionante, con un uso del linguaggio cinematografico che va oltre la narrazione biografica per entrare nel mondo interiore di Ligabue. La musica, che accompagna il tormentato cammino del pittore, contribuisce a intensificare la percezione del dolore e della solitudine. I suoi gesti, spesso frenetici e nervosi, vengono scanditi da una colonna sonora che sembra riflettere lo stato d’animo del protagonista, amplificando la sua frustrazione e la sua ricerca incessante di un senso di appartenenza.

Il film si distingue anche per il ritratto psicologico e fisico di Ligabue, in cui Germano, con la sua straordinaria interpretazione, riesce a evitare la trappola della caricatura. La sua performance non solo mette in evidenza il tormento interiore del pittore, ma trasforma il personaggio in un simbolo della lotta per l’autodeterminazione e per il diritto a essere compreso. La sua performance, che unisce fragilità e forza, è una delle più potenti della sua carriera, capace di coinvolgere e commuovere lo spettatore.
In conclusione, Volevo Nascondermi è un’opera che va ben oltre la semplice biografia di un grande artista. È un viaggio emozionante nelle pieghe più oscure dell’animo umano, una riflessione sulla diversità, sull’emarginazione e sull’incapacità della società di accogliere chi è diverso. La storia di Ligabue, raccontata con grande sensibilità e intensità, ci mostra come, nonostante le difficoltà e le sofferenze, l’arte possa rappresentare una via di salvezza, un modo per liberarsi dai propri demoni interiori e per dare un significato alla propria esistenza. Un film coinvolgente, profondo e, soprattutto, capace di lasciare un segno indelebile nel cuore dello spettatore.
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Emanuela Giuliani
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