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Volare per restare umani: la poesia ribelle di Porco Rosso

La poesia ribelle di Porco Rosso, uno dei capolavori più intensi e personali del maestro giapponese Hayao Miyazaki.

Porco Rosso è uno dei capolavori più intensi e personali di Hayao Miyazaki, nonché l’opera in cui il legame tra il maestro dell’animazione giapponese e l’Italia si esprime con maggiore forza e affetto. Ambientato tra le isole e i cieli del Mar Adriatico negli anni Venti, il film è una dichiarazione d’amore alla cultura mediterranea e, al tempo stesso, una riflessione poetica sull’identità, la libertà e le ferite lasciate dalla guerra.

Il protagonista, Marco Pagot, è un asso dell’aviazione italiana sopravvissuto alla Prima Guerra Mondiale, e dopo un evento misterioso, forse simbolico più che reale, il suo volto umano scompare, sostituito da quello di un maiale. Quella che all’apparenza sembra una maledizione si rivela invece una scelta morale: Marco, ora conosciuto come Porco Rosso, ha deciso di non essere più un uomo, in un mondo dove essere uomini significa spesso piegarsi alla violenza, all’ambizione cieca e alla complicità con il potere. “Meglio essere un maiale che un fascista”, afferma, con un disincanto che non rinuncia alla dignità, rifiutando ogni compromesso.

Ritiratosi dalla vita militare, vive in solitudine su una piccola isola, pilotando il suo idrovolante rosso fiammante e lavorando come cacciatore di taglie, in bilico tra legalità e ribellione. Ma la quiete è destinata a finire: l’arrivo del giovane e arrogante pilota americano Donald Curtis, assoldato dai Pirati del Cielo, lo costringe a tornare in azione non solo per difendersi, ma per affermare ancora una volta il diritto di scegliere chi essere, cosa amare, per cosa valga la pena combattere. E mentre l’ombra del fascismo cala sull’Italia, Marco continua a volare: non per gloria, né per vendetta, ma per restare fedele a ciò che resta del suo cuore.

Porco Rosso non è soltanto un film d’animazione: è un inno alla dignità individuale, un omaggio all’Italia vista con occhi stranieri e innamorati, e una delle più toccanti parabole che il cinema abbia saputo raccontare sul potere della memoria, dell’amore e della libertà.

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Marco Pagot: un nome che è già una dichiarazione d’intenti

Il nome “Marco Pagot” è un omaggio esplicito a Nino e Toni Pagot, fratelli milanesi pionieri dell’animazione italiana, noti soprattutto per aver creato Calimero, il pulcino nero “è un’ingiustizia però!” diventato icona culturale. I Pagot furono tra i primi a sperimentare l’animazione a colori in Italia, con opere come I fratelli Dinamite (1949), il primo lungometraggio animato italiano.

Hayao Miyazaki, da sempre affascinato dall’Italia e dal suo patrimonio artistico, culturale e paesaggistico, sceglie il nome Marco Pagot come segno di stima verso questi pionieri e, più in generale, verso l’arte e la storia italiane. La scelta non è solo un omaggio, ma una dichiarazione poetica: il protagonista porta in sé la memoria di un’Europa colta, artigiana e resistente.

Inoltre, la trasformazione di Marco in maiale antropomorfo può essere letta come metafora di una condizione interiore: Marco si auto-esilia dalla sua stessa umanità dopo essere stato testimone degli orrori della guerra. Il maiale, animale spesso associato al disprezzo, diventa qui simbolo di rifiuto dell’ideologia dominante, eco degli artisti e intellettuali che, nel corso del Novecento, si opposero ai totalitarismi pagando con l’isolamento, l’esilio o l’auto-esclusione.

Nato come corto aziendale, diventato opera d’arte

Porco Rosso fu inizialmente concepito come un cortometraggio di 30 minuti destinato all’intrattenimento dei passeggeri della Japan Airlines, intitolato The Age of the Flying Boat. Doveva essere una storia leggera, romantica, ambientata negli anni ’20, con splendidi paesaggi mediterranei e combattimenti tra piloti gentiluomini.

Ma Miyazaki, colpito dagli eventi del tempo (in particolare la Guerra del Golfo del 1991), comprese che quella storia doveva diventare qualcosa di più: un racconto sull’umanità, sulla memoria e sulla resistenza morale. Così, il progetto divenne un lungometraggio di 94 minuti, trasformando un’operazione commerciale in una delle sue opere più personali e mature. Il passaggio da corto a film fu talmente intenso da spingere lo stesso Miyazaki a dire che Porco Rosso è “l’unico dei suoi film che avrebbe voluto continuare per sempre”.

Il fascino dell’Adriatico e dell’architettura mediterranea

Le ambientazioni di Porco Rosso sono un vero e proprio atto d’amore per l’Italia e per il bacino del Mediterraneo. Miyazaki visitò a più riprese l’Istria, le coste croate, la Dalmazia, Venezia e la Toscana, scattando fotografie, facendo schizzi e annotando impressioni che poi avrebbero dato forma all’universo visivo del film.

La luce, le case in pietra, i porti assolati, i vicoli stretti, le terrazze vista mare: ogni fotogramma è un tributo al paesaggio culturale mediterraneo, filtrato attraverso l’occhio meravigliato di un artista giapponese che lo guarda con affetto e malinconia. La nostalgia per un mondo che non esiste più – quello tra le due guerre – è palpabile e struggente. L’Italia non è solo uno sfondo estetico: è l’anima visiva e simbolica del film.

Una favola pacifista tra cielo e coscienza

Nonostante il film presenti combattimenti aerei e duelli tra piloti, Porco Rosso è uno dei manifesti più chiari del pacifismo miyazakiano. Il protagonista, ex asso della Prima Guerra Mondiale, è disgustato dalla guerra e dalle sue conseguenze: ha visto troppi amici cadere, ha perso la fiducia nell’uomo, ha scelto il cielo come ultimo rifugio.

Il volo, da atto bellico, diventa qui gesto di libertà e spiritualità. Marco vola per fuggire dal mondo degli uomini, non per conquistarli. Le sue battaglie sono cavalleresche, mai letali, spesso grottesche. In questa visione il film si avvicina a Chaplin e al cinema muto, rifiutando la violenza come mezzo di risoluzione.

L’antagonista, l’americano Donald Curtis, è una caricatura bonaria dell’eroe hollywoodiano: muscoloso, vanitoso, patriottico, ma anche lui è più buffo che pericoloso. Alla fine, nessuno muore, e il vero nemico è la guerra che incombe, l’autoritarismo che avanza. Porco Rosso è un cavaliere solitario in un mondo che sta dimenticando cosa significa essere umani.

Musica, poesia e rivoluzione: la colonna sonora di Joe Hisaishi

La musica di Joe Hisaishi è il cuore emotivo del film. I suoi temi, dolci e malinconici, raccontano meglio di mille parole lo spirito del protagonista: un uomo ferito, ma non arreso. La colonna sonora alterna momenti lirici e nostalgici a episodi più leggeri e ironici, seguendo perfettamente il ritmo della narrazione.

Il film si chiude con un tocco straordinario: Le Temps des Cerises, canzone francese del XIX secolo, diventata simbolo della Comune di Parigi del 1871 e degli ideali socialisti e umanitari dell’epoca. L’inserimento di questo brano non è casuale: è un omaggio a tutte le utopie tradite, a tutti i sogni schiacciati dalla Storia. È il sigillo poetico di un film che parla di rivoluzione senza urlare, di giustizia senza retorica, e di bellezza come forma di resistenza.

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Emanuela Giuliani


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