Emma Stone grande protagonista di Poor Things, un visionario film corale, a metà tra fantasia e metafora del presente – la recensione.
Yorgos Lanthimos a Venezia ha messo d’accordo tutti stavolta. Il suo Poor Things è una gioia per gli occhi e per l’anima, per la parte più discola, più irriverente, più anarchica. Fiaba grottesca e mutevole, coloratissima, horror un po’ alla Burton un po’ alla Brooks, si muove con il passo folle di una Emma Stone meravigliosa, qui forse alle prese con la sua interpretazione più estrema e divertente, più rivoluzionaria e difficile, in un film che si pone come nuova frontiera metaforica.
Poor Things, persi con Bella dentro un futuro del passato
Dove siamo? Domanda difficile, diciamo in una sorta di età vittoriana o Belle Époque, ma sia chiaro che potrebbe essere anche diverso. Poor Things parte da un universo post-futuristico, che sembra sbucare dalla fantasia di Jules Verne, rappresentata dalla mente di un Dalì, di un Mirò, ma anche di una Mary Shelley.
Qui facciamo la conoscenza del Mad Doctor (o meglio Mad Professor) Godwin Baxter (Willem Dafoe) che conduce folli esperimenti su uomini e animali, ma è fiero soprattutto di Bella (Emma Stone), giovane suicida che deceduta (o quasi) incinta, ora ha il cervello del bimbo che aveva in grembo, la stessa istintiva curiosità e innocente furbizia. Bella non ha mai visto il mondo esterno, prigioniera nella strana casa di Baxter, assistito dal fido e ingenuo Max McCandles (Ramy Youssef), fugge infine assieme al libertino e superficiale Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo), in giro per l’Europa variopinta, selvaggia e tutta da scoprire.
Da quel viaggio, Yorgos Lanthimos trae spunto per creare una straordinaria visione della donna attraverso gli occhi degli uomini, con la loro cupidigia, possessività, cinismo e lussuria. Poor Things è una fiaba a metà tra sogno ed incubo, ma in cui l’ironia creata nel romanzo originale da Alasdair Gray risplende come una sorta di lucciola impazzita senza freni e senza contegno. Il risultato finale è una meraviglia non solo per gli occhi, grazie alle scenografie di Shona Heath e James Price, ai costumi di Holly Waddington, ma anche per il ritmo incalzante, sorprendente, per il suo strizzare l’occhio a Gilliam, Burton e al cinema dell’era che fu con rispetto e fertilità creativa.
Il suo film migliore? Forse, ma sicuramente Poor Things è il suo film più coraggioso, più audace, più folle e per questo prezioso, soprattutto perché non è estetica ma contenuto vibrante e presente. Vedetelo e poi giudicate, ma se pensate che Barbie trattasse male gli uomini siete avvisati: qui è peggio ed è meglio, perché motivato e storicamente inappuntabile.
Un’odissea folle e grottesca che ci parla del presente
Emma Stone si muove come uno spirito inquieto, è astuta e assieme priva di conoscenza del mondo, insopportabile e anarchica, è la trasfigurazione di un Pinocchio che ha nel sesso, nell’indecenza, nella mancanza di filtri, la propria vera vocazione. Dafoe, Ruffalo, così come Yousseff, Christopher Abbott, Jerrod Carmichel, sono i bersagli di una violenta sferzata da parte di Lanthimos all’uomo, inteso come detentore di un potere creativo e distruttivo assieme. Lei, un po’ Barbie un po’ Gian Burrasca, agghindata come certe protagoniste degli Hentai giapponesi, in Poor Things va incontro ad un percorso di rivelazione sul mondo, che diventa quindi anche un pilastro politico nella costruzione della trama.
Lanthimos lo ha fatto spesso, La Favorita è stato l’ultimo esempio, qui tutto è più colorato, più instabile ma non meno potente o meno vero. Dalla sua ha questo cast sontuoso, Emma Stone che ormai è la sua musa, che crea il personaggio più rivoluzionario del mondo femminile degli ultimi anni, con buona pace di Barbie e compagnia. Questa, signore e signori è la vera narrazione fantasiosa, questa è la vera audacia, non la spinta modaiola di un incidere facile e prudente, ma la rottura totale con ciò che si pensava si potesse osare sul grande schermo.
Nudità, secrezioni, organi, sangue, ci circondano ma sono privati della violenza, in un racconto un po’ sconcio ma dalla grande autoironia, profondamente intelligente, visionario e folle come lo sono i profeti o i maghi. Poor Things sa far ridere e anche fare paura, è come Lewis Carroll avrebbe pensato la sua Alice se mai si fosse trovato a vivere nel ’68, oppure in questi anni di stimolazioni estreme e perdita dell’eros come condivisione. Di certo è il film più femminista degli ultimi anni, lo è però in modo genuinamente matto, e ai matti si dà sempre ragione.
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Giulio Zoppello
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