“Un giorno di pioggia a New York” – Recensione: Amore e nevrosi a New York per il ritorno di un’antieroe”
Woody Allen è tornato. “Un giorno di pioggia a New York” finalmente trova la sua strada tra il pubblico, un rientro travagliato e denso di ostacoli per quel ragazzo timido nato a Brooklyn nel 1935, un ometto dalla inesistente avvenenza che però ha sempre saputo incantare le folle con il suo humour e con la psicanalisi intrisa di romanticismo. E così, con questa sua ultima fatica, davanti ad una pellicola stupefacente pregna di densa nostalgia e vivaci colpi di scena, svanisce d’incanto qualunque polemica. Polemiche alimentate da una campagna mediatica dal sapore di una vera caccia alle streghe che aveva portato Amazon a rescindere il contratto che prevedeva la distribuzione del film di Allen, le cui riprese erano terminate a fine 2017.
“Un giorno di pioggia a New York” è espressione di una comicità tagliente e di un romanticismo melò che riporta il regista indietro nel tempo, alle origini della sua cinematografia e conferma un nuovo genere di dramma mascherato da commedia, una “nervous romance”.
Un concept basato sulla malinconia e sulle nevrosi del mondo moderno, un ritorno alle certezze del passato, senza ripetersi, ma rinnovando con una ventata di freschezza. Questo film definisce la chiusura di un cerchio e ricorda suoi grandi classici come “Manhattan”, “Io ed Annie” ed altri, film in cui circolavano figure di intellettuali ed artisti contemporanei, un cinema al contempo tenero e nichilista questo di Allen.
Punta di diamante di questa pellicola è Gatsby, interpretato da uno straordinario Timothèe Chalamet, nei panni di un novello “Holden”, dalla personalità sarcastica e ruvidamente interessante. Come Holden Gatsby si atteggia come un duro dal modo in cui si pone agli altri, fuma, beve e si mostra come un ragazzo spocchioso che sembra aver compreso ogni cosa della vita. Ma il suo è solo un atteggiamento che vuole mascherare le sue insicurezze ed i suoi complessi di inferiorità, alimentati da una madre padrona. Attraverso questo personaggio Allen analizza il perbenismo della borghesia cittadina e lascia vedere oltre la maschera che li contraddistingue. Mostra le vere radici della società ed illumina il vero talento, nato anche da culture diverse da quelle tradizionali, con letture non canoniche e attraverso una strada che si costruisce partendo da se stessi, dalle proprie mancanze e dal bisogno disperato di sanare i propri vuoti interiori.
Un triangolo di 3 ragazzi che si confronta con i tanti incontri di una notte e le sue molteplici sfaccettature e diverte come una commedia degli equivoci, fino a quando il realismo divampa e diventa crudo, lucido ed attento.
E così l’arte torna come farmaco per il tormento metafisico in un mondo di figure stereotipate, dominato da personaggi non-sense, come l’attore “famoso” alla ricerca di sesso facile o la tradizionale maschera alleniana, icona di una satira sul cinema, un regista di successo che attraversa una crisi di mezza età ed essendo un regista impegnato si trova in conflitto con i suoi produttori ed in piena depressione.
Una vera carrellata di stelle insicure e tormentate, che tra dubbi ed incertezze coronano una serie di situazioni paradossali e prendono corpo grazie ai camei di Jude Law, Diego Luna e Liev Schreiber, tutti incantati da una naive e convincente Elle Fanning.
Questa pellicola è il vero stato libero di Allen e chiarisce come il cuore e la vita stessa siano le chiavi di un graduale ma lieve cambiamento impresso da Allen al suo cinema.
Un cinema che trova, come sempre, il suo punto di forza nei dialoghi, vivaci e pungenti, ed il suo contorno perfetto in una New York che sembra migliorare quando è avvolta da ombre e nebbia.
Grande merito va alla fotografia evocativa di Vittorio Storaro, con quadri pittorici che nelle scene in esterno ricordano l’espressionismo contemporaneo del pittore americano Jeremy Mann, un nuovo Monet che sostituisce le ninfee ed i riflessi sull’acqua con le luci notturne e la pioggia vista attraverso il finestrino dell’auto. Un realismo romantico che si lascia inghiottire dalla malinconia della città, dalla sua atmosfera piovosa e dalle luci intermittenti. La messinscena negli interni richiama intimamente l’astrazione ed il realismo di Francis Bacon, esercitando una funzione critica e moltiplicatrice nei confronti della narrazione, una New York che diventa un vero luogo dell’anima e rappresenta l’essenza del cinema stesso. Una fotografia in bilico tra l’intenso colore del sole e la pioggia scrosciante, tra la luce sul volto di Elle Fanning e gli interiors in penombra espressione del tormento di Timothee Chalamet, in un contrasto a tinte dense tra notte e giorno.
E così Allen determina il giusto spazio per il suo sguardo morale e si avvale di una cornice che contiene ed amplifica sentimenti ed emozioni.
“E’ molto, molto difficile mettere insieme cuore e cervello. Pensa che, nel mio caso, non si rivolgono nemmeno la parola”. – Da “Crimini e misfatti” di Woody Allen –
Chiaretta Migliani Cavina
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