“Top Gun: Maverick” – Recensione: non è l’areo che conta ma il pilota!
“Watchin’ every motion in my foolish lover’s game
On this endless ocean, finally lovers know no shame
Turning and returning to some secret place inside
Watchin’ in slow motion as you turn around and say
Take my breath away
Take my breath away..”
Ognuno di noi ricorda perfettamente le parole e la melodia di “Take My Breath Away”, e ancor di più ha impresso dentro di sé il film che accompagnava con le sue note: “Top Gun”. Il film cult del 1986, diretto da Tony Scott, scomparso nel 2012, che contribuì a consacrare Tom Cruise grazie al ruolo dell’ambizioso protagonista: Pete “Maverick” Mitchell.
Un personaggio che a distanza di ben 36 anni, Cruise ha deciso di riprendere nell’attesissimo sequel: “Top Gun: Maverick”, guidato da Joseph Kosinski, regista di “Oblivion”, e scritto da Peter Craig, Justin Marks, Eric Warren Singer e Christopher MacQuarrie, quest’ultimo dietro la macchina presa tra l’altro di “Mission: Impossible 7 e 8”.
Nelle sale italiane in anteprima il 21 e 22 maggio, e ufficialmente dal 25 maggio, il film, presentato Fuori Concorso alla 75esima edizione del Festival di Cannes, senza alcun dubbio si tratta di uno dei titoli attorno cui ruota una crescente curiosità, nonché il timore e rischio di estremizzare o trascinare una storia che continua a far sognare, in una melensa, vuota banalità.
Un pericolo tuttavia ampiamente evitato, come confermato dalla standing ovation ricevuta alla première del prestigioso evento francese, e dalla capacità di Kosinski di essere riuscito a costruire un seguito dalla medesima intensità, emozione e commozione. Una storia, che pur rifacendosi innegabilmente all’iconico titolo degli anni ‘80, con molteplici nostalgiche scene specchio di quest’ultimo, come la corsa in moto di Maverick con indosso gli occhiali da sole e il giubbotto di pelle, in ogni caso acquista una propria identità.
Una personalità ricca di sentimenti in grado di colpire l’animo, merito, soprattutto, di uno strepitoso Tom Cruise, impeccabile nel ruolo di un Maverick più maturo e tormentato dal rimorso per la perdita dell’amico fraterno Goose. Un dolore silenzioso che in tutti questi anni non lo ha mai abbandonato e lo ha portato a chiudersi e allontanarsi da tutti, convinto forse, che l’isolamento fosse l’unica soluzione proteggere coloro che gli erano accanto.
Durante gli anni ’60, nel corso della guerra del Vietnam, la marina statunitense si rese conto delle scarsissime abilità dei propri caccia, e nel marzo del 1969, nella base di Miramar, in California, creò la United States Navy Fighter Weapons School, la scuola di addestramento e combattimento per piloti della Marina Militare Statunitense, conosciuti come: Top Gun.
Sono passati oltre 30 anni, e il Tenente Pete “Maverick” Mitchell (Tom Cruise), tra i migliori aviatori della Marina, è ancora nell’unico posto in cui vorrebbe essere. Evita la promozione che non gli permetterebbe più di volare, e si spinge ancora una volta oltre i limiti, collaudando coraggiosamente nuovi aerei in base del deserto. Chiamato ad addestrare una squadra speciale di allievi dell’accademia Top Gun per una missione segreta, dall’ex rivale e ora amico Tom ‘Iceman’ Kazansky (Val Kilmer), Maverick si troverà di fronte il Tenente Bradley Bradshaw (Miles Teller), nome di battaglia “Rooster”, nonché figlio del suo vecchio compagno di volo Nick Bradshaw “Goose”. Alle prese con un futuro incerto e con i fantasmi del suo passato, Maverick dovrà affrontare le sue paure più recondite per portare a termine, in poco tempo, una missione difficilissima, che richiederà grande sacrificio da parte di tutti coloro che sceglieranno di parteciparvi. Tra gli allievi, ovviamente c’è anche ‘Rooster’, determinato proprio come suo padre, e fortemente ostile nei confronti di Maverick.
“Non è l’aereo che conta, è il pilota”
“Top Gun: Maverick” è un concentrato di adrenalina e sensibile dolce malinconia, dove il nuovo e il vecchio si intrecciano, fondono e scompongono. Un tiro alla fune tra presente e passato dove l’amicizia, la fiducia, la fratellanza e l’unione emergono più forti e con maggiore spessore.
Un tuffo al cuore, un viaggio nella memoria dal deciso retrogusto di rinnovamento, che vede un inossidabile carismatico Cruise, premiato a sorpresa al Festival di Cannes, lo scorso 18 maggio con la Palma d’Oro Onoraria, padrone assoluto della scena. Un Cruise che alla soglia dei sessant’anni non ha nulla da invidiare ai suoi giovani colleghi, sia dal punto di vista fisico e che di animo, e afferma la propria prontezza di riflessi, agilità e prestanza atletica, nelle spettacolari sequenze action in volo, in cui la star hollywoodiana, noto per non utilizzare alcuno stantman, non si è risparmiato sfrecciando, testando e superando ancora una volta i propri limiti. Come confermato dal produttore Jerry Bruckeimer infatti, Cruise si è preparato sottoponendosi ad un durissimo allenamento, assicurandosi inoltre che anche i colleghi seguissero il medesimo programma affiancati da veri Navy Seals. Azioni tra l’altro girate realmente senza l’uso della CGI, che godono giustamente del progresso, dei miglioramenti e avanzamenti tecnologici e produttivi che rendono il tutto ancora più reale, e catapultano lo spettatore accanto ai protagonisti.
Ma in “Top Gun: Maverick”, a fare gioco forza è anche la caratterizzazione dei nuovi personaggi, e in particolare di ‘Rooster’, dal volto di un perfetto Miles Teller, dalla voluta e dovuta somiglianza con Anthony Edwards/’Goose’, presente in alcuni flashback, i cui comprensibili contrasti con Maverick costringeranno quest’ultimo ad uscire dal proprio guscio e affrontare una volta per tutte il passato.
Significativo anche il cameo di Val Kilmer, il cui ruolo, Tom ‘Iceman’ Kazansky, tiene conto degli attuali problemi di salute dell’attore che ne limitano la capacità di espressione verbale, e della nuova figura femminile protagonista che fa perdere la testa a Maverick, non più vestita da Kelly McGillis, ma da Jennifer Connelly.
Kosinski con “Top Gun: Maverick” non delude affatto le aspettative, dando vita ad un seguito pienamente coinvolgente accompagnato dalle note dell’inedito brano portante firmato da Lady Gaga: “Hold My Hand”.
“Standing in a crowded room and I can’t see your face
Put your arms around me, tell me everything’s okay
In my mind, I’m running round a cold and empty space
Just put your arms around me, tell me everything’s okay
Break my bones but you won’t see me fall, oh
The rising tide will rise against them all, oh
Darling, hold my hand…”
Emanuela Giuliani
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