“Tolo Tolo” – Recensione: il fascismo razziale che si combatte con l’amore
Ultima fatica, nonché esordio alla regia, di Luca Medici, in arte Checco Zalone, è “Tolo Tolo”, film nato da un’idea di Paolo Virzì, e preceduto, come ben si sa, da un mare di polemiche. Quello stesso mare letale per molti migranti e presente in molte scene, le cui acque della discordia “dividono” un popolo da un altro, mettendo sul banco degli imputati l’Italia stessa, raffigurata da Zalone come un’icona forte della sua passata fortuna e quasi ignara dei mutamenti che incombono.
“Tolo Tolo” rappresenta un cambiamento di rotta, un ritorno alla commedia all’italiana di Ettore Scola nel “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?”, ma adattato alla nuova satira ed alle peripezie del mondo attuale, come confermato da Zalone nel corso dell’incontro stampa: “Io guardo con estremo rispetto Dino Risi ed Alberto Sordi e la commedia italiana” – aggiunge – “Il mio primo film da regista e per la prima volta mi sono sentito agitato…una pellicola faticosissima perché nel deserto abbiamo incontrato 20 settimane di pioggia dispendiosa e durissima”.
Un progetto quindi atteso, coraggioso ed innovativo, nonostante non riesca a dare un vero corpo narrativo ad una buona idea di partenza, frammentandola in parti tra loro poco omogenee. Una vicenda che si ispira all’amara realtà, dove le risate sono a denti stretti suscitate dall’incipit che parte dalla Puglia “io amavo le murgie pugliesi e quella gente che non sapeva guardare oltre le tendine”, in un territorio che non sa aprirsi alle novità e un paese corrotto e tradizionalista, dove il nemico a cui sfuggire è lo Stato, più precisamente il fisco.
E proprio per sfuggire alle tasse, ai creditori e alle ex mogli assettate di sangue, ecco che il nostro Checco parte alla volta del Kenya, portando con sè i propri sogni, il suo sguardo di sempre dall’aria forzatamente ingenua, i mocassini Prada, le camicie di Armani e l’irrinunciabile crema all’acido ialuronico. Lì diventa amico di un giovane del posto, Omar e di una ragazza che gli piace, Idjaba, Manda Tourè, “Gnocca l’Africa”, ma nel momento in cui tutto sembra andare per il verso giusto, lo scoppio improvviso di una guerra lo costringe a tornare in patria. Un ritorno che dovrà affrontare da solo non avendo nessun aiuto dallo Stato, a bordo su quell’Arca di Noè che “deborda di umanità che ha recuperato la dignità”, e racconta “l’odissea di quelle persone che non cercano un futuro migliore, ma un futuro e narra la diversità che è un valore aggiunto”.
Zalone parte dai vizi tipici degli italiani, la furbizia, l’illegalità e l’agio che li circonda, in un’Italia preda di sardine e squali, per concentrarsi su un popolo agli antipodi, che non ha alcuna speranza e porta alla luce l’enorme gap tra Occidente ed Africa. Il tormentone sulla famosa “crema platinum all’acido ialuronico” che lui considera “l’abc della civiltà” e che quel popolo nemmeno conosce, e serve a capire tutte quelle cose diamo per scontate, e dietro alle quali ci si perde inutilmente. Una realtà ben distante da quella di un italiano medio caduto nel baratro del proprio egoismo, e sul quale Zalone ha costruito l’intera sceneggiatura in quanto “è parte della natura umana”.
Perle della storia sono, Omar, figura colma di un cinema impegnato e “personaggio realmente esistito e scomparso, amico di Virzì. Un ragazzo senegalese innamorato del realismo italiano” e un cameo esilarante di Nichi Vendola, nei panni di se stesso in una politica italiana dove il presidente del consiglio appena eletto “ha la carriera di DI Maio, i vestiti di Conte e le parole di Salvini”, in un paese che non può fare più niente per gli italiani, figuriamoci per i migranti.
“Tolo Tolo” gioca sul crinale del “polittically correct” dal grande gusto musicale, coniugando la pizzica con la musica africana, riscopreno grandi classici di Nicola di Bari e Francesco De Gregori nella sua toccante “Viva l’Italia”. Un racconto che si apre a molteplici variazioni, inserendo scene di musical reali, come quella di Ester Williams con i migranti in acqua ed una canzone di speranza, o il cartoon sulla cicogna alla Mary Poppins, dando così vita a commoventi quadri.
Un film molto duro “che dice qualcosa di sinistra” pur non volendo fare politica, su un mondo che si diceva avere il cuore grande ed eppure, come il protagonista, ha rigurgiti di razzismo di Mussoliniana memoria, momenti che, come dice Omar possono capitare durante lo stress, “in cui il fascismo viene fuori come la candida”, in una metafora che è specchio dell’inspiegabilità di fronte all’attuale società, intollerante e crudele.
“La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia” (Gandhi)
Chiaretta Migliani Cavina
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