“The Undoing”: l’universo interiore in una bolla – la Recensione
La serie diretta da Susenne Bier sancisce il ritorno sul piccolo schermo di Nicole Kidman, dopo “Big Little Lies”, l’attrice ripercorre la comfort – zone di un thriller drama.
Una famiglia apparentemente perfetta, Grace moglie, madre e psicoterapeuta di successo, interpretata dalla Kidman, Jonathan, Hugh Grant, oncologo pediatrico stimato da tutti, e il loro figlioletto Henry vivono a New York sotto l’ala protettrice di Franklin, magnate e padre vendicativo di Grace, a cui dona il volto un monumentale Donald Sutherland.
Una classe borghese altolocata apparentemente votata ai bisogni del prossimo, alla tutela dei deboli, impegnata in lussuosi eventi di beneficenza. Un affresco che sembra presentare luci ed ombre, accentuate dalla regia sinuosa e chiaroscurale della Bier, che indugia oltre lo sguardo, in un percorso sottile alla ricerca della verità.
Una verità che emerge rompendo un equilibrio profondamente in bilico, ed una donna, Elena Alves, la sensuale e intensa Matilde De Angelis, che entra e stravolge questo microcosmo scintillante.
Grace sembra essere l’unica degna delle attenzioni di Elena, l’unica che la accoglie, seppur turbata da quello sguardo indecifrabile ma caldo, dalla sfrontatezza di quella giovane donna, ma al contempo magnetica e irresistibile. E all’improvviso, un omicidio interrompe la magia e tutto viene messo in discussione. Grace, nell’abisso della notte, cerca attraverso passi decisi sull’asfalto, di trovare le risposte a tutto questo, nascoste dietro le luci della città.
“Tu parli di orrore, ma ancora non l’hai visto l’orrore”.
Susenne Bier confeziona un prodotto sopra le righe e, nonostante una sceneggiatura lineare e poco innovativa, riesce a volare alta grazie ad una maniacale attenzione nei dettagli, dagli abiti di scena superbi nel tracciare un profilo sociale upper class, all’interpretazione dei protagonisti, punta di diamante un Hugh Grant superlativo in un ruolo complesso e per finire una regia che rappresenta il vero deus ex machina.
Una camera che indugia a cercare la vera anima nascosta dietro la ricchezza, mostrando le luci e le nefandezze di una società in decadenza, anche attraverso un contorno di donna davanti ad una finestra ripresa di spalle, come a voler gettare un’ombra che incombe su tanto splendore.
Una trama sottile di bugie e di sospetti, che passa il testimone del colpevole prima ad uno e poi ad un’altro, in una giostra di incertezze, come se tutti fossero ugualmente colpevoli.
Il modello della famiglia ideale, della bolla che avvolge ogni cosa e decreta che “l’essenza dell’educazione moderna è tenere i propri figli protetti più a lungo possibile”, in una società dove ognuno deve avere il suo compito e renderlo pubblico.
“E’ criminale non essere freneticamente impegnati”. Così anche Elena, artista e madre di famiglia, ha la colpa di avere troppo tempo libero per fermarsi di giorno su una panchina ad indugiare.
Un vortice che non deve mai trovare sosta, perchè chi si ferma è perduto, dove fermarsi è osservare quello che si è costruito, e questo potrebbe farlo franare rovinosamente come un castello di carte, come la vita di Grace.
Una vita ricostruita con una sensibilità artistica dalla regista, capace di mettere in scena le emozioni lette attraverso gli occhi dei protagonisti.
Inquadrature sapienti, che sembrano voler dipingere un quadro a tinte forti di questa realtà, si accompagnano con le sfumature dell’intorno, quasi a voler lasciare emergere un nucleo tenuto nascosto.
Notevole anche l’interpretazione del giovane Noah Jupe, qui nel ruolo di un figlio disposto a fare qualunque cosa pur di salvare l’unione della sua famiglia. Una serie intensa e emozionante, capace di andare oltre le apparenze e raccontare in modo tangibile come un solo istante può cambiare una vita, per chiunque.
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Chiaretta Migliani Cavina