The tender bar – Recensione: un viaggio tra sogni speranze lungo quel filo tenace chiamato amore

“The tender bar” – Recensione: un viaggio tra sogni speranze lungo quel filo tenace chiamato amore

“Casa per mia madre non aveva il significato che aveva per me: per lei significava fallimento, il luogo in cui si finiva quando tutte le cose andavano in pezzi, lavoro, appartamento, amore, non sempre in quest’ordine, ma io l’amavo. Per me la casa del nonno era una porta girevole di cugini e di zie, con un pieno di risate e lacrime e di tanto in tanto un esaurimento nervoso, ma soprattutto era dove viveva lo zio Charlie e ad 11 anni tutti vorrebbero uno zio Charlie”

Lo zio Charlie, Ben Affleck, può essere considerato l’icona di “The Tender Bar”, che segna il ritorno alla regia di George Clooney dopo “Midnight Sky” del 2020. Il film è la trasposizione cinematografica dell’autobiografia del giornalista premio Pulitzer JR Moehringer.

Una voce fuoricampo ci accompagna lungo il percorso, che parte nel 1973 e l’atmosfera ricorda le cartoline patinate dell’epoca, con colori caldi ma tenui, dallo stile filmico accurato e vincente.

Ci sono tutti gli elementi caratteristici del cinema americano: da Long Island, città di provincia con le casette a schiera, alle auto decappottabili, al bar rifugio e ritrovo per chiacchere e liberta e soprattutto alla vita di un giovane in cerca di riscatto per la sua famiglia e lanciato verso un futuro prestigioso.

Un luogo del cuore e dell’anima, una luce che disegna un percorso catartico e formativo per arrivare ad esprimere se stessi, aiutati dal miglior mentore che si può avere, lo zio Charlie, vera punta di diamante della pellicola.

Una figura dalle mille sfaccettature, un barista dai sani principi e dalla cultura sconfinata, maturata da anni ed anni di letture, ma soprattutto dal cuore d’oro. Il film ruota in maniera semplice attorno ad una tematica chiara fin dal principio: il sogno di JR di diventare un famoso scrittore, una missione salvifica per volare alto sopra una famiglia disastrata e un padre alcolizzato e violento, che sente solo come voce alla radio.

Un caleidoscopio di più simboli di crescita e di supporto, a partire dal bar e dai suoi pittoreschi clienti, una madre, Dorothy, che è una donna coraggiosa che si è battuta per offrire il meglio a suo figlio anche rinunciando a sè, nonostante un matrimonio che ha finito per segnarla  per tutta la vita, soprattutto dopo la sua fine, come un marchio a fuoco per la società e per JR, un nonno scorbutico ma dolce, fino ad arrivare alle figure conosciute a Yale che segneranno la svolta per il nostro protagonista, una svolta sociale e una visione politica ben chiara, che sono Wesley (il Rhenzy Feliz di “Runaways”) e la seduttiva  Sydney (Briana Middleton). Una descrizione dei personaggi profonda e a tutto tondo, dall’estrema naturalezza ma grande intensità, che procede in un passo a due con i dialoghi, che incidono l’importanza delle parole e delle ispirazioni, viste anche come espiazioni.

Perchè la vita non deve essere racchiusa in una gabbia sociale e poggiare su figure fisse ed intoccabili, ma al contrario deve essere libera come una girandola al vento e variegata, come i racconti da bar, mutevoli ed affascinanti, come un’avventura epica.

Una storia che non offre scossoni, dal finale già scritto dalle prime battute, ma che cerca altro, che mostra luci ed ombre dell’amore e la profondità delle emozioni, in modo forse fin troppo stucchevole, ma comunque accattivante ed empatico, anche sull’onda del libro, che Clooney sembra seguire pedissequamente, anche nelle critiche ad una precisa classe sociale, indifferenti ad un successo che può sorgere dal basso.

L’affresco però manca di un fondo che riesca ad esaltarne la creatività e il disegno narrativo, è carente di un filo logico unitario, dalle inquadrature frammentate e più efficaci come quadri unitari e da discorsi che sembrano tornare sempre al punto di partenza, senza quasi avere una destinazione finale e il tutto sembra semplicemente snodato lungo l’incedere del racconto di formazione. Ma l’insieme funziona anche e soprattutto grazie a Ben Affleck, perno della vicenda, motore dell’importanza degli affetti, del confronto sociale e della voglia di emergere. Una performance riuscitissima, che sa trasmettere i valori che animano il lungometraggio e soprattutto l’autobiografia, viaggio a cavallo di un sogno con una sola valigia di ricordi di un mondo d’anime pulsanti.

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Chiaretta Migliani Cavina

Il Voto della Redazione:

7


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