Il regista e i protagonisti raccontano alla 19esima Festa del Cinema di Roma la looro personale rilettura del ritorno di Ulisse.
Presentato in anteprima alla 19esima Festa del Cinema di Roma, nella sezione Grand Public, The Return diretto da Uberto Pasolini. Il film è una rilettura dell’Odissea, dello spirito, senza viaggi, senza mostri, senza dei. Solo un uomo sfinito che torna a casa dopo anni di lontananza, una moglie tenace che lotta per mantenere la fede in un suo inatteso ritorno e il viaggio di un figlio verso l’età adulta, diviso tra l’amore per sua madre e il peso del mito di suo padre. Una famiglia separata dal tempo e dalla guerra, riunita dall’amore, dal senso di colpa e dalla violenza.
E proprio in occasione della proiezione, il regista Uberto Pasolini assieme ai protagonisti Ralph Fiennes, Juliette Binoche e Claudio Santamaria hanno raccontato da dove nasce la voglia di rileggere l’Odissea in una maniera così personale, riproponendo il ritorno di Ulisse oggi, nonché l’animo dei personaggi.
“Sono 70 anni che non si vede una versione dell’Odissea per il cinema che racconti Ulisse, Penelope, Telemaco, i Proci e Omero in maniera speciale secondo me, e vi ricorderete sicuramente di Kirk Duglas, nel ’55 con Silvana Mangano”, afferma il regista Uberto Pasolini. “E’ 30 anni che sto provando a fare questo film. la passione per l’Odissea è una passione infantile ma più si invecchia, più si legge l’odissea e più ci si riconosce nell’emotività, nella problematica e nella psicologia delle persone, io non li chiamo personaggi perché sono persone. I miti hanno una vita in questo caso millenaria perché nei personaggi dei miti noi ci riconosciamo, e io mi riconosco non eroe ma marito, padre fallito, nei ritorni difficili a casa”, dice. “Ho vissuto molto lontano dalla mia famiglia, perché il lavoro ti porta lontano, e il mondo che ci circonda è riflesso in continuazione in una lettura approfondita di Omero, per cui non so perché veramente gli autori cinematografici non si siano cimentatati in questa sfida. Io l’ho fatto per arroganza, perché ci vuole arroganza per mettersi a confronto con Omero, e per la fortuna di avere Juliette, Ralph e Claudio insieme a me, senza i quali non si poteva pensare di fare questa cosa. Pi, come mi disse Dante Ferretti un paio di anni fa quando mi dava dei consigli su come affrontare il tutto, gli unici passi che vale la pena fare sono quelli più lunghi della gamba”.
In merito alla scrittura il regista spiega: “Nel film tutto il bello è di Omero, l’ordine dei fatti è stato avvolte cambiato, ci sono delle situazioni che non sono proprio esattamente negli eventi dell’Odissea così come ce l’ha lasciata Omero. Ad esempio il tessere e disfare la tela nell’Odissea è successo nel passato e non nel presente, noi invece abbiamo fatto un’operazione aristotelica e abbiamo condensato situazioni del passato e del presente. Ci sono delle battute ispirate al testo, al dialogo di Omero, e molte che sono di testi recenti. Ho letto molte interviste di reduce del Vietnam, della loro difficoltà nel gestire la violenza che avevano perpetrato, che avevano visto, e sulla loro difficoltà di tornare in famiglia. Ci sono inoltre le interviste delle mogli di questi veterani del Vietnam che parlano delle difficoltà che hanno nell’accettare questi mariti distrutti dall’esperienza della guerra. Queste cose mi hanno ispirato moltissimo e sono entrate nel testo stesso e nei dialoghi a volte dell’Odissea, che però ci tengo a dire noi abbiamo fatto come un Omero che parla di cosa significhi essere umani, di cosa vuol dire essere un figlio, un padre, un servitore, una madre, una moglie. E’ li che noi siamo andati a rileggere Omero ma in Omero non è una nostra invenzione ci siamo focalizzato di più su quello che sono i viaggi interiori, le Odissee interiori dei personaggi delle persone e meno in quello che ci ricordiamo sulle nostre letture giovanili”.
Ralph Fiennes spiega come ha dato vita al personaggio: “Si parla sempre della ricerca degli attori. Si possono leggere libri e ricerche storiche che hanno un loro posto, ma spesso la ricerca è la tua immaginazione. Leggi il testo e pensi a cosa significano queste cose per te, devo sapere che cosa è stato, come è stato l’attraversamento. Io credo che l’immaginazione emotiva sia fondamentale, così come porci le domande su che cosa significa tornare a casa, su che cosa significhi essere esausti fisicamente, e se mi sono mai trovato in una condizione di essere esausto fisicamente”, rivela Fiennes proseguendo. “Non ho fatto quello che chiamano generalmente la ricerca come spesso viene definita, volevo indagare e studiare la sceneggiatura con Uberto, con Juliette, per capire la verità delle motivazioni, capire cosa c’è sotto. Quindi la ricerca a quel punto non significa nulla quando sei sul set, perché devi rispondere al regista, a quello che ti danno gli altri attori, sei aperto al momento quando giri e la preparazione significa essere pronti di fronte ai quei momenti davanti alla macchina da presa”.
Juliette Binoche rivela: “Non ho sentito il bisogno di fare grandi ricerche, prima di tutto perché si tratta di archetipi che sono presenti in noi. Essere prigioniera in quel castello, in cima alla collina circondata dalla solitudine, dal senso di abbandono, sono sentimenti che si possono avere quando si viene lasciati come questa donna che vuole proteggere suo figlio, che vuole resistere alle voglie di potere che simboleggiano i proci. Infondo credo mi sia bastato pensare alla mia vita, alle situazioni a cui devo far fronte come donna sola che deve educare i propri figli, è stato molto più facile per entrare in contatto con quella Penelope, che inizialmente mi ha fatto molto impressione perché non avevo mai interpretato una regina. Mi era stato detto che sarebbe stato difficile, ma alla fine è stato più facile di quanto pensassi. In noi troviamo tutti gli archetipi, e trovarmi con attori come Ralph e Angela Molina mi ha portato di fronte a persone vere che attraverso le parole scritte da Uberto, ispirate naturalmente da Omero, hanno una posizione molto tangibile. Uberto ha realizzato qualcosa di molto vivo”.
Infine Claudio Santamaria dice: “Il nostro mestiere è sempre una questione di indagine interiore, è inutile andare a scoprire come si vestivano a Itaca 3000 anni fa, o come appunto compivano le azioni. Il mio personaggio è un personaggio abbandonato che vive l’abbandono, e come è sentirsi soli e abbandonati nella speranza di un sogno, della realizzazione di un sogno che ti ha promesso un re tanti anni fa, di darti una terra una donna e una famiglia, attendendo questo ritorno per 20 anni e cercare in questa attesa di mantenere e proteggere uno spirito di quel poco di umanità che è rimasto su un’isola. Sono queste le questioni su cui ci si interroga come attori, come diceva Stanislavskij non è importante capire e ricordare è facile, il difficile è sentire e credere, per questo la ricerca è sempre interiore, sempre dentro”.
Interpretato anche da Charlie Plummer, Marwan Kenzari e Ángela Molina, The Return è una distribuzione 01 Distribution. PICOMEDIA, RED WAVE FILMS e RAI CINEMA presentano una coproduzione Italia, Grecia, Regno Unito, Francia una produzione Picomedia con Rai Cinema, Heretic, Ithaca Films, Kabo Films, Marvelous Productions in coproduzione con Greek Film Centre ERT SA in associazione con The UK Global Screen Fund Ministero della Cultura – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo.
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Emanuela Giuliani