La recensione di The Quiet Girl, il film di Colm Bairéad candidato ai prossimi Oscar, come Miglior Film Internazionale, e al cinema dal 16 febbraio 2023.
Quest’anno dall’Irlanda arrivano due storie di fantasmi: ad affiancare Gli Spiriti dell’Isola giunge The Quiet Girl (An Cailín Ciúin), film di Colm Bairéad candidato al Miglior Film Internazionale ai prossimi Oscar. Per The Quiet Girl, presentato alla Berlinale 2022, gli spettri non sono maligni. Non lo sono neppure quelli del film di Martin McDonagh, che piuttosto rappresentano il neutrale presagio di un futuro vicino: ma i simboli dell’opera di Bairèad sono ancor più aderenti alla realtà e accolti nel focolaio domestico, luogo deputato alla rievocazione di un passato sepolto che attende solo di essere trascritto nelle gioie del presente.
Càit (Catherine Clinch) ha nove anni e vive nell’Irlanda rurale del 1981, insieme al padre fattore e alle sue tante figlie. La sua timidezza è il suo involucro ovunque, anche a scuola, dove i compagni di classe la additano come “stramba” e se ne distanziano ogni giorno. A casa, quando non scompare fra il lavoro e le faccende da sbrigare con le sorelle, viene presa in giro per aver bagnato il letto durante il sonno.
Sua madre (Kate Nic Chonaonaigh) sta portando a termine una gravidanza, mentre suo padre (Michael Patric), gelido e distante, sta meditando di accompagnarla a casa dei Kinsella, zii di Càit, per far sì che se ne prendano cura durante l’estate. Mentre Eibhlìn (Carrie Crowley) si rivela da subito una madre premurosa, Seàn (Andrew Bennett) sembra, al contrario, solo un’altra figura paterna fredda e assente. Finché la verità dietro le apparenze, come spiegato nella recensione, non arriverà, limpida, a smentire ogni dubbio di Càit.
Il doppio cuore di The Quietl Girl
È un’opera dal doppio cuore, The Quiet Girl, basato su un racconto di Claire Keegan che esce nel 2010 con il nome di “Foster”. È prima di tutto il pellegrinaggio di Càit, bambina trascurata (forse mai davvero desiderata), verso un ambiente domestico e un nucleo famigliare che fa da riproduzione antitetica a quello di provenienza. È anche una sorta di coming of age, privato di quel respiro e di quell’ampiezza che sarebbero richiesti da un racconto di formazione propriamente detto ma, allo stesso modo, concentrato su una tappa specifica che dura il tempo di una stagione (la più calda dell’anno) e che nell’esistenza della protagonista occupa un posto determinante. Non importa se poi quel cambiamento, che è consueto aspettarsi dall’occasione offerta, arriverà o rimarrà sopito, perché intanto se ne sarà presentata l’occasione.
Mano a mano che Càit, fanciulla troppo giovane per essere una ragazza e troppo grande per essere una bambina, e magnificamente incarnata dal viso pittoresco di Catherine Clinch (una rivelazione), si addentra con gentilezza nello spazio intimo di Seàn ed Eibhlìn, The Quiet Girl si apre, si rivela e armonizza il racconto individuale della sua protagonista con quello della coppia. È un film sulle anime silenziose, sui tempi delle loro relazioni e sul loro rapporto con i cicli della vita, sull’elaborazione dei sentimenti e sui canali di comunicazione di cui necessitano per affidarsi all’altro in modo naturale e totalizzante. Quando Càit entra nelle esistenze dei due genitori dal cuore a pezzi ci entra come fosse una pagina strappata alla loro vita e miracolosamente ritrovata in un altro libro, e come se vi fosse sempre appartenuta anche lei.
Un intimo e meraviglioso affresco
“Non devi dire qualcosa, ricordalo sempre. Tante sono le persone che perdono l’opportunità di non dire niente, e che hanno perso qualcosa proprio per questo motivo”, spiega Seàn a Càit, nel tentativo di mitigare un disagio troppo grande, forse troppo ingiusto per una bambina della sua età.
The Quiet Girl è un affresco intimo e meraviglioso, perfettamente contenuto nell’aspect ratio del 4:3 ed esaltato da scelte formali di rara eleganza (la fotografia di Kate McCullough, morbida e delicata sulle luci e sui volti, è straordinaria) che restituisce centralità all’empatia, al bisogno e al dialogo, paradossalmente tramite il taciuto, negli affetti famigliari. E che, con un finale di commovente genuinità (e privo di condiscendenza), rinnova la promessa di un’estate che tornerà, come padri e madri che aspettano, anche dopo che le ultime foglie saranno cadute dagli alberi.
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Federica Cremonini
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