La recensione di The Nightingale, il film di Jennifer Kent in concorso alla 75esima Mostra del Cinema di Venezia.
Jennifer Kent, unica regista donna in concorso alla 75ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, con la sua seconda opera The Nightingale, riesce a centrare perfettamente l’obiettivo che si era prefissata: raccontare una storia di violenza in cui il punto di vista femminile è centrale, mettendo in evidenza le sue devastanti conseguenze e la brutalità che travolge ogni aspetto della vita dei protagonisti.
La regista non si limita a tratteggiare un episodio storico, ma lo trasforma in una riflessione universale sulle cicatrici che la violenza lascia nei corpi e nelle menti delle persone. La sua narrazione non solo esplora la violenza contro le donne, ma anche la brutalità della colonizzazione dell‘Australia, un atto di conquista che non solo strappa il paese ai suoi abitanti originari, ma che macchia indelebilmente l’anima stessa della terra, delle sue genti e della storia. The Nightingale è un film che si svolge in un contesto storico specifico, ma le sue tematiche sono di una contemporaneità straziante, testimoniando come il passato sia ben lontano dall’essere superato.
La colonizzazione australiana viene dipinta come una ferita aperta, un atto che con la sua arroganza e crudeltà si riverbera nei tempi moderni. Kent non fa sconti: la violenza, soprattutto quella perpetrata dagli uomini bianchi nei confronti delle donne e degli aborigeni, è mostrata in tutta la sua crudeltà. Non è mai glorificata, ma viene messa in scena in modo così diretto da suscitare repulsione e incomprensione, ma anche una riflessione sulla disumanità di certe azioni. La regista punta a creare uno spazio dove l’umanità, la compassione e l’empatia sono gli unici antidoti a una violenza che, paradossalmente, sembra alimentarsi della disumanizzazione dell’altro.
La trama del film ruota attorno alla figura di Claire (interpretata da un’intensa Asling Franciosi), una giovane irlandese che, dopo aver subito ripetuti abusi sessuali e l’omicidio di suo marito e della sua bambina, decide di dare un seguito alla sua sete di vendetta, perseguitando il Capitano Hawkins (Sam Claflin), il brutale soldato britannico che ha distrutto la sua vita.
Questo incontro tra la giovane donna e il personaggio di Billy (Baykali Ganambarr), un aborigeno che ha anche lui perso la sua famiglia e che è vittima delle crudeltà dei colonizzatori, è l’elemento che conferisce al film una doppia prospettiva: non solo quella della vendetta personale, ma anche quella della resistenza dei popoli indigeni, il cui dolore è paragonabile, se non superiore, a quello delle donne. Billy diventa, quindi, non solo la guida che aiuterà Claire nel suo cammino, ma anche il simbolo di una resistenza che va oltre la mera sopravvivenza fisica, abbracciando la memoria culturale e spirituale di un popolo.
The Nightingale è un film che non si fa alcuna remora a mostrare la violenza nelle sue forme più brutali e insopportabili. La regista non si preoccupa di compiacere lo spettatore, ma lo sfida a confrontarsi con la cruda realtà della tortura, della sopraffazione e dell’ingiustizia. Ogni scena è una pugnalata allo stomaco, un’immersione nel profondo dell’animo umano, in cui la violenza non è mai astratta, ma viene incarnata da corpi, da sguardi, da gesti che penetrano lo spettatore con il loro dolore e la loro urgenza. La vendetta di Claire non è solo un atto di giustizia personale, ma una risposta furiosa e disperata a un sistema che ha distrutto la sua vita e l’ha ridotta a un’ombra di se stessa.
Ciò che sorprende di The Nightingale è la sua capacità di mostrare il processo di disumanizzazione senza spettacolarizzare il dolore. La regista costruisce una tensione palpabile, che cresce ad ogni passo del protagonista, e la narrazione si fa sempre più intensa, con il film che si sviluppa in una spirale senza fine di brutalità e reazioni furiose. La vendetta di Claire è un’esplosione di violenza che, purtroppo, non trova mai un vero riscatto, ma solo il perpetuarsi di un ciclo di sofferenza che colpisce indistintamente chiunque vi si trovi dentro. La regia di Kent sa sfruttare ogni momento, ogni silenzio, ogni sguardo, per esplorare la psiche del protagonista, creando un contrasto netto tra la sua forza interiore e la sua fragilità, tra la sua sete di giustizia e il peso della vendetta.
La rappresentazione della brutalità, sia fisica che psicologica, è al contemporaneo esplicita e teatrale, con la regista che non si limita a filmare la violenza, ma la trasforma in un atto performativo che penetra nello spettatore come un dolore viscerale. La violenza stessa diventa protagonista, ma non solo come mezzo per esprimere la disperazione, ma anche come strumento per esplorare i limiti dell’animo umano. L’intensità delle azioni e delle reazioni delle protagoniste è così cruda che non si può fare a meno di essere scossi, disorientati, e, soprattutto, coinvolti emotivamente.
The Nightingale è un film che non lascia scampo. La violenza è il suo linguaggio, ma è attraverso di essa che Kent ci invita a riflettere sulla nostra umanità. È un’opera che scuote, che provoca, che sfida. Un film da vedere, non solo per la sua potenza narrativa, ma anche per il coraggio con cui affronta tematiche tanto complesse e dolorose. Non è un’esperienza facile, ma è una di quelle che lascia il segno, che costringe lo spettatore a confrontarsi con la storia, con il passato e con se stesso.
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Emanuela Giuliani
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