“The Irishman”, la Recensione del film di Martin Scorsese
“Un film con i miei amici” è così che Martin Scorsese ha presentato “The Irishman” (2019) tra il TIFF (Toronto Film Festival) 2019, il BFI London Film Festival 2019 e la Festa del Cinema di Roma 2019, ma l’ultima fatica del regista di “Taxi Driver” (1975) e “Quei bravi ragazzi” (1990), costato ben 160 milioni di dollari con sei mesi di post-produzione a causa della pioneristica, e costosissima, tecnica di ringiovanimento, non ha avuto vita facile, tanto da aver avuto una delle pre-produzioni più travagliate che la storia del cinema contemporaneo possa ricordare.
Si perché nessun grande studio ha voluto dar fiducia a Scorsese e al suo progetto colossale, nessuno tranne Netflix chiaramente; finanziando “The Irishman”, il colosso di Los Gatos ha alzato ulteriormente l’asticella del proprio peso specifico nell’industria audiovisiva, imponendosi non soltanto come esempio di canale distributivo collaterale rispetto all’abituale filiera, ma anche come importante casa di produzione capace negli anni di acquisire sempre maggiore credibilità dopo il Leone d’Oro 2018 e l’Oscar al Miglior Film Straniero 2018 vinto da Alfonso Cuaròn con il suo “Roma” (2018).
Da qui la mole infinita di polemiche sulla definizione dei film Marvel e dell’intero genere cinecomic come “non cinema”, “baracconate” e “parchi divertimento” da parte del regista de “Re per una notte” (1983). Epiteti e locuzioni mal riportate dalla stampa poi riprese da altri illustrissimi colleghi come Coppola e Loach, volte piuttosto che a sminuire in sé, il valore artistico di un genere cinematografico, a far riflettere sulle preferenze dell’industria hollywoodiana.
In un’ottica puramente capitalistica infatti, “The Irishman” diventa la testimonianza diretta di come Hollywood non sia più capace di prendersi rischi, preferendo così investire 160 milioni di dollari su di un cinecomic o in generale su di un prodotto più generalista, piuttosto che non su di un film d’autore colossale da 3 ore e mezza. La scelta non è poi così assennata, i tempi della New Hollywood, di Micheal Cimino e “I cancelli del cielo” (1980) che per poco non spazzò via la United Artists sono ormai belli che lontani.
Grazie al sopracitato Netflix prende così vita “The Irishman”, tratto dal romanzo” L’Irlandese: Ho ucciso Jimmy Hoffa” (2004) di Charles Brandt, con protagonisti Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci, Harvey Keitel, Bobby Cannavale, Stephen Graham, Ray Romano e Anna Paquin, per un racconto cinematografico colossale, maestoso, dal peso specifico non indifferente nella filmografia di Martin Scorsese, e nella storia del cinema). L’epopea dell’anti-eroe tragico Frank Sheeran (Robert De Niro) e il suo porsi anello di congiunzione tra la criminalità organizzata di Russell Bufalino (Joe Pesci) e il sindacalista Jimmy Hoffa (Al Pacino) diventa espediente per Scorsese per delineare un gangster-movie malinconico dal chiaro significato meta-testuale.
“The Irishman” è infatti il punto finale di un percorso iniziato nel 1973 con “Mean Streets: Domenica in chiesa, lunedì all’inferno” e proseguito negli anni con il sopracitato “Quei bravi ragazzi” e “Casinò” (1995). In un viaggio lungo quarantasei anni e quattro pellicole infatti – grazie ai volti di Keitel, De Niro e Pesci – Scorsese va a scandagliare la figura mitica del gangster e la sua evoluzione nel corso del tempo. Se in Mean Streets ci viene infatti mostrata la gioventù del gangster e il voler tentare di tornare indietro da un percorso da cui non c’è via di scampo, in “The Irishman” assistiamo al gangster che è ormai giunto al punto di non ritorno, come il Frank di De Niro, così calato nel suburbano criminale da reprimere il senso di colpa di un gesto scellerato ma necessario, freddando senza pochi patemi d’animo “esteriori” il compagno/fratello Hoffa di Pacino.
Ma non c’è solo criminalità e atti violenti, “The Irishman” ci mostra infatti anche il lato quotidiano e umano del gangster, dove il Frank di De Niro, è scisso tra il mondo criminale e il suo essere padre e marito, e proprio come in “Quei bravi ragazzi” e “Casinò”, non c’è via di scampo, le azioni criminali avranno inevitabili conseguenze nella sfera affettiva, incarnate nell’amor divenuto rapidamente odio della figlia più piccola Peggy (Anna Paquin).
Così “The Irishman” va a mostrarci la sopracitata epopea di Frank Sheeran, attraverso una struttura narrativa colossale dal ritmo graduato, il cui incedere del racconto del principale arco narrativo del personaggio di De Niro, in bilico tra il Russell di un minimale e inedito Pesci, e del Hoffa di un brillante Pacino, autentico deuteragonista del racconto, diventa espediente per Scorsese con cui mostrarci un excursus della storia americana dalla Seconda guerra mondiale sino ai primi anni Duemila, passando per la Baia dei Porci e lo Scandalo Watergate.
Nel caso dei personaggi di Pesci e Pacino, la cui unica scena condivisa rappresenta un autentico gioiello nella storia del cinema contemporaneo, non vi è tuttavia un’effettiva evoluzione psicologica, quanto piuttosto una continua e perenne intensità recitativa nella coerenza del proprio contesto narrativo; discorso diverso va fatto per il personaggio di De Niro che, in quanto punto di vista del racconto, è quello il cui arco narrativo risulta essere più definito. La crescita psicologica del suo Frank Sheeran non sta tanto nelle azioni volte a definire la sua (conclamata) accettazione del proprio ruolo criminale, quanto nella redenzione umana negli ultimi anni di vita verso la propria famiglia.
Se “C’era una volta in America” (1984) di Sergio Leone era volta a mostrarci la vita del gangster dall’infanzia sino ai suoi ultimi anni di vita tra amori, atti criminali, e azioni violente; la neonata tecnologia ringiovanente permette a Scorsese e al suo “The Irishman” di estrapolare le ingenti premesse leoniane del crepuscolo del gangster, per mostrarci, sempre attraverso il volto ora ringiovanito, ora invecchiato di Robert De Niro, la fine di un genere e di un modo di fare cinema figlio dei grandi rischi della New Hollywood di cui Scorsese è stato uno dei caposaldi, davvero niente male per un semplice “film tra amici”.
Dopo una breve finestra distributiva nelle sale italiane dal 4 novembre 2019, “The Irishman” di Martin Scorsese entrerà a far parte del catalogo Netflix a partire dal 27 novembre 2019.
Francesco Fabio Parrino
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