L’incontro stampa con i registi e il cast della serie italiana: The Good Mothers, disponibile su Disney+ dal 5 aprile.
Debutta oggi 5 aprile su Star di Disney+: The Good Mothers, la serie originale basata su una storia vera, che racconta la ‘ndrangheta interamente dal punto di vista delle donne che hanno osato sfidarla.
The Good Mothers ripercorre le vicende di Denise, figlia di Lea Garofalo, Maria Concetta Cacciola e Giuseppina Pesce, tre donne che hanno osato contrapporsi alla ‘ndrangheta. Ad aiutarle la P.M. Anna Colace che, appena arrivata in Calabria, ha un’intuizione: per poter abbattere i clan della ‘ndrangheta, è necessario puntare alle donne. È una strategia che comporta grandi rischi: la ‘ndrangheta è nota e temuta per il suo pugno di ferro e il potere insidioso. The Good Mothers segue Denise, Giuseppina e Maria Concetta nel loro tentativo di affrancarsi dal potere criminale e collaborare con la giustizia.
Basato sull’omonimo libro non-fiction del giornalista Alex Perry, premiato con il “George Polk award”, e adattato per lo schermo da Stephen Butchard (Bagdad Central, The Last Kingdom), nominato ai BAFTA, il progetto vede la regia di Julian Jarrold, nominato ai BAFTA e agli Emmy (The Crown, Becoming Jane) e della premiata Elisa Amoruso (Sirley, Chiara Ferragni: Unposted) ed è prodotto da House Productions (Sherwood, Il prodigio) e Wildside (L’amica geniale, Anna), una società del gruppo Fremantle.
Le dichiarazioni dei registi
“La cosa che ci ha affascinato è stata la possibilità di raccontare la storia dal punto di vista abbastanza inedito femminile. Sono stati tanti i film e le serie tv che hanno visto le cose dal punto di vista maschile, con una violenza talvolta troppo esaltata e sulla quale forse in alcuni casi ci soffermava fin troppo” – dichiara il regista Julian Jarrold presente all’incontro in occasione della presentazione della serie alla stampa. “Qui invece abbiamo potuto raccontare questa storia con un’ottica nuova, diversa, avvicinandoci a queste figure femminili in pericolo. Un pericolo però che non si vede spesso e volentieri in scena. Una forma di violenza nascosta. Quindi per noi era essenziale riuscire a catturare questa violenza e tensione strisciante con lo sguardo particolare del P.M. che ha scelto proprio di lavorare sulle figure femminile in questa organizzazione, per cercare in qualche modo di convincerle ad allontanarsi da mariti violenti e da una vita tradizionale verso una possibile libertà. Verso appunto una soluzione diversa da quella vissuta fino a quel momento in questi luoghi protetti senza dimenticare però, che il pericolo è sempre incombente e queste donne devono sempre guardarsi alle spalle per la paura di una tremenda vendetta compiuta dall’organizzazione. Si tratta di un tema molto potente che ci ha permesso di raccontare la storia in maniera semplice e realistica.”
La regista Elisa Amoroso svela: “Questa avventura per è cominciata con la lettura del libro di Alex Perry. Fin dall’inizio sono rimasta estremamente colpita dal mondo relativo alla condizione delle donne che lui raccontava, perché mi sembrava lontano secoli. Raccontava nel dettaglio la condizione delle nostre protagoniste, Giuseppina Pesce, Concetta Cacciola, Lea Garofalo e sua figlia Denise. Erano tutte donne sposate con degli uomini che non avevano scelto loro. Mariti finiti molto spesso in carcere e che quindi si ritrovavano da sole a crescere dei figli che avevano avuto intorno ai 15 – 16 anni” –
La Amoroso prosegue: “Questo orizzonte in cui gli altri avevano deciso per loro, in cui non avevano avuto la possibilità di decidere il loro destino, mi ha colpito moltissimo. Ho pensato subito dopo aver letto la sceneggiatura di Steven Butchard che queste storie erano necessarie e bisognava raccontarle. Io stessa da italiana conoscevo la storia di Lea Garofalo, ma non conoscevo le storie delle altre. Abbiamo cercato di rivolgere finalmente l’attenzione a quelle che in qualche modo sono sempre state considerate l’anello debole, non solo della mafia, ma l’anello debole in generale. Penso che finalmente questo anello debole, pian piano, debole non lo è più, e che sia arrivato il momento giusto di cambiare completamente la prospettiva di questo racconto ed entrate all’interno dell’organizzazione criminale della ‘ndrangheta senza glorificare la violenza di quelli che sono soprattutto i personaggi maschili. Personaggi che spesso nelle altre serie che abbiamo visto essere messi in risalto anche in termini di potere, di gloria” – conclude. “Nella nostra serie abbiamo cercato di stare il più possibile vicino alla realtà e all’intimità di queste donne, che hanno avuto delle storie incredibili proprio perché sono state più coraggiose di altre, intraprendendo un viaggio difficile e rinunciando alla propria identità. Alcune di loro sono tutt’ora nascoste in località segrete. Era veramente necessario dare loro una voce che fin ora sono state delle protagoniste invisibili.”
The Good Mothers è un’opera corale e sfaccettata che racconta la storia vera di tre donne, cresciute all’interno dei più feroci e ricchi clan della ‘ndrangheta, che decidono di collaborare con una coraggiosa magistrata che lavora per distruggerla dall’interno. Queste donne combatteranno contro le loro stesse famiglie per il diritto di sopravvivere e di costruire un nuovo futuro per se stesse e per i loro figli.
Vincitrice del primo “Berlinale Series Award” alla 73° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino, nella sezione “Berlinale Series”, riconoscimento istituito quest’anno e dedicato alla serialità nella storia del Festival, nella serie: Gaia Girace veste il ruolo di Denise Cosco, Valentina Bellè di Giuseppina Pesce, Barbara Chichiarelli di Anna Colace, Francesco Colella di Carlo Cosco, Simona Distefano di Concetta Cacciola, Andrea Dodero di Carmine, e Micaela Ramazzotti nel ruolo di Lea Garofalo.
Le dichiarazioni del cast
“Per quanto riguarda la nostra Giuseppina, è una presa di coscienza molto dolorosa, perché un sistema educativo, culturale quello in cui crescono le nostre donne, e quindi non è facile rendersene conto, non è così scontato” – spiega Valentina Bellè. “La storia di Giusi, in qualche modo è stata forzata. Nel racconto verrà incarcerata e colta diciamo in un momento in cui lei è con il suo amante, e secondo le regole della ‘ndrangheta le donne colte con l’amante devono morire, cosa che non vale per gli uomini. E Anna Colace che la fa incarcerare, facendo sapere apertamente che lei aveva un amante, la rende impossibilitata a tornare alla sua vita perché sa perfettamente cosa l’aspetta, quale è la sua condanna” – continua. “Una mossa tanto terribile quanto intelligente da parte del sostituto procuratore perché l’unica è opzione è collaborare. Di conseguenza lei non ha preso coscienza in modo autonomo. E’ stato un percorso molto doloroso il cui fattore fondamentale che l’ha aiutata, credo, sia stato il rendersi conto che i propri figli in sua assenza venivano manipolati, e soprattutto la figlia adolescente Angela, alla quale è stato fatto un vero e proprio lavaggio del cervello da parte dei familiari che hanno dipinto Giuseppina come una donna impazzita, che aveva perso la ragione. La dinamica del rendersi conto io l’ho potuta solo immaginare, così come la rabbia alla quale Giuseppina si è aggrappata per andare avanti.”
Micaela Ramazzotti dice: “Lea Garofalo è stata testimone di giustizia, è nata e cresciuta nella ‘ndrangheta e ne è stata anche vittima. Ce l’ha messa tutta per scappare, ci ha messo la faccia, ha fatto nomi e cognomi ma purtroppo non ce l’ha fatta. In qualche modo però ha dato forza e coraggio a sua figlia per testimoniare contro il padre. Questa è stata la sua grande forza. Per questo la serie è potentissima è come se fosse un film a sei puntate.”
“Su Denise ho pensato che sarebbe stata una bella sfida, perché è un personaggio che esiste realmente con un vissuto importante. Una donna che ha subito e sofferto veramente tanto, ritrovandosi da sola per dare giustizia a sua madre, per combattere. Si è ritrovata sola a lottare contro la ‘nadrangheta, la sua famiglia, e l’ha fatto per l’amore materno, il legame che aveva con lei. E’ stata sicuramente una grossa responsabilità e io ho provato a darle una mia versione, perché purtroppo non ho avuto la possibilità di incontrare Denise, e mi sono documentata il più possibile con tutto ciò che avevo a mia disposizione.” – rivela Gaia Girace.
“Concetta è quella che in apparenza sembra subire di più il sistema del patriarcato. E’ un processo graduale, una presa di coscienza graduale e Concetta ci riesce anche grazie all’aiuto di Giuseppina Pesce. La difficoltà riguarda il contesto familiare, spesso sono le donne stesse della ‘ndrangheta che contribuiscono al mantenimento del patriarcato, la loro sottomissione” – afferma Simona Distefano. “Credo in particolare che Concetta abbia sofferto una grande solitudine e un abbandono da parte di chi invece avrebbe dovuto sostenerla un po’ di più, come i contesti che dovrebbero aiutare queste donne durante i processi. Concetta non è stata sufficientemente supportata, e l’amore per i figli manipolato dai genitori l’ha portata alla sua tragica fine.”
Barbara Chichiarelli infine conclude: “Anna Colace ha questa intuizione secondo cui le donne possono essere i veri cavalli di Troia, e inizia la sfida alla ‘ndrangheta che è una società molto più chiusa rispetto a tutte le altre società criminali. Capisce anche che le prime rotture c’erano già state e penso che questo dipenda da un progresso nonostante queste donne siano così lontane dalla contemporaneità. Credo che come in ogni storia ci sia lo zampino del fato e del destino, e Anna Colace ha capito che era il momento giusto per dare una spallata alla ‘ndrengheta attraverso le donne, perché ciò che spaventa gli uomini dell’organizzazione è che possono diventare un esempio. E’ l’esempio.”
Emanuela Giuliani