“The French Dispatch of the Liberty, Kansas, Evening Sun” – Recensione: simbolismo e libertà
“The French Dispatch” segna il ritorno del talentuoso Wes Anderson, più di tre anni dopo il capolavoro in stop motion “L’isola dei Cani” nel maggio 2018.
L’altisonante titolo completo della sua ultima fatica evidenzia la grandiosità del prodotto, una pellicola ambiziosa e spericolata, un film che celebra il giornalismo usandolo come installazione video artistica che si snoda in un racconto volutamente frammentato.
L’idea dietro “il palcoscenico” è quella di sfogliare una vecchia rivista patinata dalle tinte transalpine, ambientata in Francia, nella cittadina immaginaria di Ennui – Sur Blasè, ma fortemente ispirata al New Yorker ed al suo giornalismo culturale.
Un reportage settimanale di storie di ogni genere, moda, politica, sociologia ed arte. Dal cronista in bicicletta che fotografa l’istantanea di una città, al pittore criminale con la sua musa, alle rivolte studentesche e gialli haute cucine con cuochi bizzarri.
La pellicola segue una struttura antologica e dopo averci introdotto alla testata, nel giorno della dipartita e anche del compleanno del suo esimio direttore che tutto gestiva, un sublime Bill Murray, con tanto di torta e candeline, passa alla descrizione del pittoresco paesino, alle sue mutazioni negli anni, mentre “vengono ripescati 8,25 cadaveri a settimana”.
Successivamente si divide in tre sezioni, che corrispondono a tre articoli sul Dispatch. La prima è “Il capolavoro di cemento” la brillante storia dell’artista condannato all’ergastolo e della sua musa “che era ben più di una musa”, Benicio del Toro e Lea Sedoux. Le sue opere sono presentate da una stilosa Tilda Swinton, redattrice per la sezione arte incorniciata dal colore rosso ad indentificare la passione nei dipinti e non solo. Inquadrature simmetriche, secondo lo stile di Anderson, che sembrano esse stesse le vere opere d’arte e una giostra continua di passaggi tra il bianco e nero e il colore saturo come pennellate su una tela, un gioco di rimandi tra il soggettivo e l’oggettivo, il personale e il tramandato.
Una storia dal racconto visivo indiavolato e pregno che narra come un cinico mercante d’arte, Adrian Brody, sia riuscito a sfruttare il talento di un uomo, Moses Rosenthaler, che si salva dal suicidio solo grazie alla sua creatività ed alla sua musa, una Ledoux ispirata e capace di aggiungere corpose sfumature di grigi ad un quadro di suo già impattante.
Come seconda sezione “Revisione di un manifesto” ci trascina nel maggio francese del’68, mostrando scampoli di una rivolta studentesca “sui generis” ad opera di un ribelle scapestrato, Thimotèe Chalamet e una solitaria giornalista, una straordinaria e ironica Frances McDormand, legati da una strana relazione. Wes fa giocare riots e polizia a scacchi, portando in scena il famigerato “sesso libero”, una conturbante storia di amore impossibile e passione proibita, raccontata già da Bertolucci.
E cita anche il Che nel personaggio di Chalamet, Zeffirelli, che morirà nel fiume in seguito ad un banale incidente, ma riuscendo comunque a diventare un’icona dell’epoca, stampata in serie sulle magliette.
Due sezioni che mantengono un ritmo molto alto, con vicende singolari e particolarmente figurative, caratteristiche che mancano all’ultima, sezione sapori e odori “La sala da pranzo privata del Commissario di Polizia”. Anderson ci mostra un poliziotto, Mathieu Amalric, alle prese con un rapimento, durante la performance culinaria di uno degli chef più famosi di Francia.
Un frammento dalla narrazione carente e confusionaria, più un esercizio di stile che sostanza e arricchimento, seppur abbellito da divertenti sequenze animate.
Una pellicola dove il vero protagonista è il racconto stesso, e tutti gli attori si muovono coralmente, come dettagli determinanti per la riuscita di un quadro d’insieme., tutto è funzionale alla narrazione di una storia ricca di sfumature interessanti.
Una pellicola folle ed estrema, da immaginare come un mosaico variegato, dove i frammenti vanno a creare un’opera d’arte che trasmette compiutezza ed amore, l’amore verso un mestiere che ora ha cambiato volto, quello del giornalista, e il racconto di un’epoca, fatta si di maniera, ideali e storie di pura fantasia, ma anche e soprattutto di sostanza.
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Chiaretta Migliani Cavina
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