scena film the brutalist

The Brutalist, la recensione del film di Brady Corbet con Adrien Brody

In concorso alla 81ma Mostra del Cinema di Venezia: The Brutalist, diretto da Brady Corbet con Adrien Brody.

“Questo film è dedicato agli artisti che non sono riusciti a realizzare le proprie visioni”, dichiara Brady Corbet regista di The Brutalist, presentato in concorso alla 81ma Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Scritto insieme a Mona Fastvold, con cui già aveva collaborato per The Childhood of a Leader – L’infanzia di un capo (2015), The Brutalist, per quanto ne abbia tutto l’aspetto, non è un film biografico, ma un racconto di finzione che prende le mosse dagli ultimi anni della Seconda guerra mondiale e vede protagonista Adrien Brody al fianco di Felicity Jones è Guy Pearce.

Qui l’INCONTRO STAMPA: The Brutalist, conferenza stampa: Brady Corbet: “Ho sentito l’urgenza di raccontare questo film”

The Brutalist, la sinossi

scena film the brutalist

László Tóth (Brody) è un architetto ebreo che nel 1947, per sfuggire alla persecuzione nazista, emigra dall’Ungheria agli Stati Uniti. Costretto dapprima a lavorare duramente e vivere in povertà, ottiene presto un contratto che cambierà il corso dei successivi trent’anni della sua vita.

The Brutalist, l’epopea di un artista ebreo perseguitato

scena film the brutalist

Girato in 70 millimetri e con una palette che in tutto rimandano ai film dell’epoca in cui è ambientata la storia, The Brutalist racconta in tre ore l’epopea di un artista il cui talento viene letteralmente incenerito dalla brutalità della guerra e da una persecuzione che non termina con la sconfitta del nazismo, ma semplicemente si sposta da un regime dittatoriale ad un’altra forma di regime, di tipo economico questa volta, quella capitalista.

Il titolo scelto da Brady Corbet per il suo film rimanda al concetto di Brutalismo, una corrente architettonica nata negli anni Cinquanta del Novecento in Inghilterra, uno stile edilizio e di arredamento di interni fatto di linee essenziali, nette che grazie alla loro semplicità creano un elegante incrocio di prospettive. László Tóth, protagonista di The Brutalist, è un architetto ungherese che discende dalla scuola della Bauhaus, capace di spingersi in realizzazioni che richiamano fortemente l’arte Brutalista.

Non è un caso che l’ispirazione per il film a Corbet sia insolitamente nata proprio da un testo di architettura, “Architecture in Uniform: Designing and Building for the Second World War” di Jean-Louis Cohen. Da lì il regista ha cominciato a chiedersi di quanti architetti del secolo scorso sterminati dal regime nazista non sapremo mai cosa avrebbero potuto costruire. Il personaggio di László nasce proprio da un esercizio di fantasia con cui il regista ha immaginato la vita di uno di questi architetti sopravvissuto alla guerra ed emigrato negli USA.

The Brutalist diventa così l’epopea di un artista ebreo perseguitato, sfuggito al nazismo e in un certo senso di nuovo vessato nei più liberali e democratici Stati Uniti. Corbet ci risparmia la violenza subita in guerra di cui vediamo solo le cicatrici lasciate sul volto e nello stato dei suoi superstiti, ma si sofferma a raccontare le asprezze che il protagonista e sua moglie Erzsébet, interpretata da Felicity Jones, subiscono nel mondo che apparentemente li salva e li accoglie, ma che non smette di ghettizzarli e di sfruttare la loro condizione.

Straordinario e convincente Adrien Brody nei panni di László crea un personaggio non del tutto ammirevole, non un eroe, ma certamente un artista geniale consapevole del proprio talento, tenace e al tempo stesso abbattuto dalle ripetute sconfitte che la vita gli infligge. La sua figura si erge forte e dolente di fronte a quella della sua nemesi, personaggio non degno di ammirazione, il ricco imprenditore interpretato da Guy Pearce.

Tra ricostruzioni di un passato doloroso da ricordare e visioni di un futuro ambizioso e imponente, The Brutalist mette in scena l’architettura come simbolo di libertà e repressione al tempo stesso. Libertà creativa dell’arte che cerca di sfuggire, non sempre con successo, dall’oppressione prima ideologica e poi economica delle diverse forme di regime. La lotta di László si gioca tenacemente su questi piani sia al livello interiore che professionale e rinasce ogni volta sulle ceneri di traumi continuamente rinnovati.

©Riproduzione Riservata

Vania Amitrano

Il Voto della Redazione:

8


Pubblicato

in

da

Tag: