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The Brutalist, conferenza stampa: Brady Corbet: “Ho sentito l’urgenza di raccontare questo film”

Il regista Brady Corbet assieme ai protagonisti presenta all’81esima Mostra del Cinema di Venezia: The Brutalist.

In anteprima e in concorso all’81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia: The Brutalist, uno dei titoli più attesi questa ricca edizione attorno a cui si era creata una crescente curiosità anche per l’ambiziosa durata di ben 215’ minuti, nonché per la scelta di girarlo interamente su pellicola 70mm da parte del regista Brady Corbet. Attore, regista e sceneggiatore statunitense che torna al prestigioso evento per la terza volta dopo aver presentato: L’infanzia di un Capo, suo esordio dietro la macchina da presa e vincitore del Leone del Futuro all’edizione del 2015, e Vox Lux con Natalie Portman nel 2018.

The Brutalist racconta la storia dell’architetto ebreo László Tóth, interpretato da Adrien Brody, emigrato dall’Ungheria negli Stati Uniti nel 1947. Costretto dapprima a lavorare duramente e vivere in povertà, ottiene presto un contratto che cambierà il corso dei successivi trent’anni della sua vita.

Qui la RECENSIONE in anteprima di Venezia 81: The Brutalist, la recensione del film di Brady Corbet con Adrien Brody

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“Ringrazio il Festival per aver sostenuto fin dall’inizio questo film quando nessuno lo faceva”, dichiara Corbet nel corso della conferenza stampa del Lido al quale era presente assieme ai protagonisti, per poi proseguire parlando dell’ispirazione che lo ha portato a dare vita a questa intensa storia. “Per il film e in particolare per l’architettura e la psicologia postbellica, mi sono consultato con una persona che è mancata l’anno scorso e che ho amato e ammirato moltissimo. Si tratta di Jean-Louis Cohen che ha scritto il libro Architettura in uniforme: progettare e costruire per la seconda guerra mondiale, e a cui il film si ispira partendo dalla manifestazione concreta del trauma del XX secolo. Jean Louis era un esperto e gli avevo posto un’unica domanda, ovvero se poteva darmi un esempio di qualcuno che è rimasto bloccato nella follia della guerra e si è ricostruito la vita negli Stati Uniti. Lui mi disse che non ne aveva e ho trovato questo spaventoso, dal momento che ci sono tanti architetti della Bauhaus che avevano tanto talento e di cui non abbiamo mai visto quello che avrebbero voluto costruire”, spiega. “Questo è un film immaginario perché per me è l’unico modo di accedere al passato, ed è dedicato a loro, agli artisti che non hanno mai realizzato la propria visione”.

In merito alla durata e al processo di creazione Corbet dice: “E’ stato un film molto difficile da fare, e sono molto emozionato oggi, sono commosso perché sono sette anni che lavoro su questo film. Ho sentito l’urgenza di raccontare questa storia per più di un decennio e sono molto grato a tutte quelle persone che hanno portato pazienza per tre ore e mezza per guardare questo film. Ringrazio il cast, la crew e coloro che hanno reso possibile questo film che fa tutte quelle cose che ci viene detto di non fare. Ho scelto il formato 70mm perché mi è sembrato il modo migliore per rappresentare quel periodo, mentre credo sia ridicolo parlare del tempo del film, è come criticare un romanzo perché è lungo 700 pagine e non 70”, afferma. “Ho letto dei romanzi bellissimi su più volumi e per quanto mi riguarda la questione è quanta storia c’è da raccontare e magari il prossimo film sarà di 45 minuti. Credo sia veramente ridicolo, dovremmo superare questa cosa siamo nel 2024”.

Infine Corbet parla del lavoro fatto per le scenografie, della fotografia e della scelta cast: “Judy Becker la nostra scenografa, che ha lavorato in film come Carol e Brokeback Mountain, è meravigliosa e ha capito immediatamente quale era il suo compito. Si è presentata e con un budget minimo ha creato tutto quello che ha creato. E’ un film a low budget e noi non avevamo molto denaro a disposizione, lei si è mai lamentata e ha supportato la mia esperienza anche se talvolta e è stato molto difficile. Ha fatto delle cose straordinarie. Con il direttore della fotografia Lol Crawley invece abbiamo lavorato insieme in passato e vediamo il mondo nello stesso modo. Per il cast ho scelto quelli che secondo me erano i perfomer migliori e sono molto orgoglioso del lavoro fatto”.

A vestire i panni del protagonista, Adrien Brody, che racconta la sua esperienza, il suo approccio e immedesimazione nel personaggio dell’architetto ebreo László Tóth così: “Per quanto riguarda la rappresentazione di László Tóth innanzitutto è un personaggio ben costruito sulla carta, ed è un personaggio che ho immediatamente sentito mio, l’ho compreso fin dall’inizio e mi è sembrato che lo potessi rappresentare. Come alcuni di voi sanno, mia mamma è Sylvia Plachy, una grande fotografa che lavora a New York nonché un’immigrata ungherese. E’ fuggita nel ‘56 durante le rivoluzioni ed è stata quindi una rifugiata, è immigrata negli Stati Uniti e come László ha perso la propria casa e ha iniziato la propria vita da capo inseguendo il suo sogno da artista”, spiega Brody. “Capisco molto delle ripercussioni sulla vita e sul suo lavoro come artista, e credo che sia un parallelo fantastico con la vita, l’opera e la creazione di László, e di come si siano evolute quelle creazioni e la psicologia postbellica, e di come questa influenza creativamente il nostro lavoro ed altri aspetti della nostra vita. Si tratta di una finzione ma ha qualcosa di molto realistico per quanto mi riguarda, ed è importante per me nel momento in cui devo diventare un personaggio e renderlo reale in un film come questo, che deve rappresentare non solo il passato ma ricordarci il passato, guardandolo nelle cose del nostro presente cercando di trarne molti insegnamenti”.

Ad affiancare Brody Felicity Jones nei panni della moglie di questo Erzsébet: “Erzsébet è un po’ come quel treno su cui arriva, nel senso che va in una sola direzione, avanti. E’ un personaggio molto forte, ottimista così come Brady (Corbet) e Mona (Fastvold co-sceneggiatrice e moglie del regista) se la sono immaginata. Ho sentito quella sensazione di urgenza che è al centro di quello che abbiamo fatto. Una canzone dei Black Eyed Peas c’è una frase ‘Abbiamo un’unica parola l’amore’, e credo che anche in questa storia c’è una sola parola: l’amore, in particolate per Erzsébet e László credo ci sia questa idea dell’amore, e credo che le grandi storie d’amore arrivano sempre per un senso di grande urgenza”.

Il ricchissimo cast di The Brutalist include anche: Guy Pearce, Joe Alwyn, Raffey Cassidy, Stacy Martin, Emma Laird, Isaach De Bankolé e Alessandro Nivola.

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Emanuela Giuliani

 


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