Spencer, la recensione: il ritratto più intimo dell’indimenticabile principessa triste
A distanza di un anno dalla presentazione di “Ema”, nel 2019, Pablo Larrain torna al Lido in Concorso con uno dei film più attesi: “Spencer”.
Dopo il biopic “Jackie”, incentrato sulla First lady Jacqueline Bouvier interpretata da Natalie Portman, in Concorso alla passata edizione della 73esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il regista, sceneggiatore e produttore cinematografico cileno anche stavolta infatti, porta sul grande schermo della 78esima Biennale il ritratto di un’altra grande donna, tra le più amate, icona universale di eleganza, simbolo di generosità e discrezione, ovvero la Principessa del Galles Diana Spencer.
Scritto da Steven Knight, Larrain con “Spencer” senza alcun dubbio ha rischiato molto, non solo per l’enorme peso e responsabilità nel decidere di raccontare una figura femminile il cui ricordo resterà sempre vivo, ma soprattutto decidendo di affidarne i panni a Kristen Stewart.
Scelta ovviamente, che ha destato oltre a tanta curiosità anche molti dubbi. Una vera e propria sfida vinta tuttavia da ogni punto di vista. Il racconto ruota attorno al periodo delle feste natalizie, trascorse dalla famiglia reale, come da tradizione, nella residenza di Sandringham, in Norfolk. Larrain non cade nella banale e scontata ricostruzione cronologica (anche perché nessuno è in grado di sapere con certezza cosa sia accaduto all’interno della residenza), quindi pone la totale attenzione sul profondo tormento interiore della Principessa. Una sofferenza per alcuni aspetti al limite della follia, causata dall’insanabile crisi matrimoniale con il Principe Carlo, i cui tradimenti avevano condotto la coppia sulla strada del divorzio, e con il quale, proprio in virtù delle festività, stabilì una temporanea tregua.
Una pace estremamente fragile, proprio come l’animo di Diana, irreparabilmente segnato dalla crescente sofferenza e insofferenza che le toglievano il respiro, e chiusa in quella gabbia dorata, con una serie di regole a scandire il tempo, vedeva schiacciato il suo bisogno di libertà, affetto, aria. Uno spirito angosciato con il quale, distaccandosi da qualsiasi grottesca e fin troppo facile imitazione della gestualità, degli sguardi, delle espressioni e movenze, che hanno contribuito a rendere unica Lady Diana, la Stewart è riuscita ad entrare in contatto mostrando la ferita e lacerata sensibilità non di una futura regina, bensì di una moglie e madre.
Una connessione sentita e complessa, che ha fatto emergere in tutta la loro forza le paure e le vulnerabilità di una donna definita ribelle semplicemente perché desiderava la più comune delle normalità, una famiglia in cui ognuno potesse ridere, confidarsi, confrontarsi, discutere, aver fiducia e credere. Una famiglia, priva di qualsivoglia etichetta a cui obbedire, e che imponesse cosa indossare, fare, quando parlare, mangiare, dormire, pensare.
Il risultato è un incalzante dialogo con se stessa e con l’immagine di Anna Bolena a fare da specchio e dare voce all’io interiore di Lady Diana. Un’analisi viscerale in grado di trascinare, scuotere, far riflettere e percepire il totale, potente smarrimento e vuoto della cosiddetta ‘principessa triste’. Un conflitto che porterà Diana a cercare rifugio e risposte nei ricordi di infanzia, a non rinunciare alla propria identità e natura, a prendere in mano le redini del proprio destino, a rompere tutti gli schemi di un mondo che l’aveva imprigionata in un sogno fasullo sulle note di “All I need is a miracle” di Mike & The Mechanics.
Qui l’Incontro Stampa: “Spencer”: Pablo Larrain e Kristen Stewart raccontano la loro Principessa Diana
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Emanuela Giuliani
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