La recensione del biopic di Pablo Larrain Spencer: il ritratto più intimo dell’indimenticabile principessa triste.
A distanza di un anno dalla presentazione di Ema nel 2019, Pablo Larraín torna al Lido in Concorso con uno dei film più attesi della 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia: Spencer. Dopo il successo di Jackie, il biopic su Jacqueline Bouvier, ex First Lady degli Stati Uniti, interpretata da Natalie Portman, il regista cileno dimostra ancora una volta la sua abilità nel raccontare la vita di grandi donne del nostro tempo, attraverso una prospettiva intima e intensa. Con Spencer, Larraín ci regala il ritratto di una delle figure più iconiche del 20° secolo, la Principessa del Galles, Diana Spencer, una donna che, come la sua storia personale, è rimasta nel cuore di milioni di persone in tutto il mondo.
La sfida di Larraín non è stata solo quella di esplorare un personaggio di tale portata, ma anche di scegliere un’interprete in grado di restituire la complessità e la fragilità di Diana. La scelta di Kristen Stewart per il ruolo della principessa ha suscitato un mix di curiosità e scetticismo, ma si è rivelata una mossa azzeccata. L’attrice, che spesso è stata associata a ruoli più introversi o anticonformisti, riesce a far emergere l’intensità emotiva di Diana senza cadere nella trappola della semplice imitazione. La sua interpretazione è straordinaria, carica di una sottile tensione che trasmette tutto il peso di un’esistenza segnata dalla sofferenza, dalla solitudine e dalla continua ricerca di un’identità che va al di là del suo ruolo pubblico.
Il film si svolge durante il periodo natalizio del 1991, quando la famiglia reale si riunisce nella residenza di Sandringham, nel Norfolk, una tradizione che, almeno apparentemente, dovrebbe unire i membri della casa reale. Tuttavia, per Diana, che già si trovava in una crisi matrimoniale con il Principe Carlo, le festività diventano un’occasione per riflettere sul suo matrimonio fallito e sulla sua condizione di prigioniera in una gabbia dorata. In questo contesto, Larraín non segue una narrazione cronologica né cerca di ricostruire eventi storici con precisione. Invece, il regista si concentra su un aspetto più emozionale e psicologico, ricostruendo il tormento interiore di Diana in modo profondamente soggettivo. Questa scelta narrativa si traduce in un’esperienza cinematografica molto più emozionante, un viaggio nel suo stato d’animo, nei suoi sogni, nei suoi ricordi e nelle sue paure.
Il film si distacca dalle biografie tradizionali, che spesso si concentrano su eventi storici o pubblici, per esplorare la psicologia del personaggio di Diana. Larraín costruisce una storia che si sviluppa come una sorta di dramma psicologico, dove l’elemento centrale è il conflitto interiore della principessa. La sua lotta contro il mondo che la circonda è paragonata a un combattimento tra il desiderio di libertà e la rigidità delle regole della famiglia reale. Diana è intrappolata in un sistema che la limita, le impone aspettative e la priva di qualsiasi tipo di autonomia. La sua sofferenza è visibile in ogni sua espressione e gesto, mentre cerca di navigare un ambiente che sembra costringerla a diventare una versione di sé stessa che non riconosce.
La performance della Stewart è assolutamente fondamentale per la riuscita del film. La sua Diana non è una figura stereotipata o semplicemente una “principessa triste”, ma una donna complessa e lacerata, che lotta per non perdere la sua umanità in un contesto che la annienta. L’attrice riesce a trasmettere con delicatezza e potenza la solitudine di Diana, il suo bisogno di affetto, la sua frustrazione per non poter vivere una vita normale. Un momento particolarmente toccante è quando Diana si confronta con l’immagine di Anna Bolena, un’altra donna vittima di una monarchia oppressiva, la quale diventa una sorta di specchio attraverso il quale Diana esplora le proprie paure e vulnerabilità.
Nel film, Larraín utilizza una serie di simboli e immagini potenti per approfondire il tormento di Diana. Il contrasto tra la bellezza e la freddezza della residenza di Sandringham, la pesantezza dei suoi abiti e l’alienazione che essa prova in quel luogo, creano un’atmosfera surreale e claustrofobica che riflette il suo stato emotivo. La regia di Larraín, caratterizzata da una fotografia fredda e malinconica, e una colonna sonora che accompagna i momenti di maggiore intensità emotiva, amplifica il senso di disconnessione che Diana vive. La musica, in particolare, gioca un ruolo fondamentale: il brano All I Need Is a Miracle dei Mike & The Mechanics, che fa da colonna sonora a un momento cruciale del film, diventa un grido di speranza e ribellione, un desiderio di liberazione dal peso di un mondo che le è estraneo.
La sceneggiatura di Steven Knight, che bilancia sapientemente momenti di riflessione interiore e scene di grande drammaticità, è un altro punto di forza del film. Il dialogo con se stessa di Diana, in cui si confronta con le sue paure e con la figura di Anna Bolena, è uno degli aspetti più profondi e affascinanti del film. Larraín e Knight esplorano anche il concetto di ribellione: Diana non è una donna che lotta per il potere o per la fama, ma per la sua libertà personale e il diritto di vivere una vita più semplice e normale. Questo rende il suo percorso ancora più tragico e umano.
In conclusione, Spencer è un’opera cinematografica che trascende la biografia convenzionale, esplorando la vita della Principessa Diana da una prospettiva intima e psicologica. Grazie alla regia viscerale di Larraín e all’interpretazione straordinaria di Kristen Stewart, il film riesce a catturare la vulnerabilità, il dolore e il desiderio di libertà di una donna che, nonostante la sua posizione privilegiata, è stata vittima di un sistema che l’ha imprigionata. Il risultato è un film che scuote profondamente e lascia un’impronta indelebile, portando lo spettatore a riflettere sulla condizione umana e sulle sue fragilità.
Qui l’Incontro Stampa: “Spencer”: Pablo Larrain e Kristen Stewart raccontano la loro Principessa Diana
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Emanuela Giuliani
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