un uomo con una maschera e un coltello

SCREAM VI, la recensione: Ghostface va a New York

SCREAM VI, la recensione del sesto capitolo della celebre saga horror, al cinema dal 9 marzo con Eagle Pictures / Paramount Pictures.

Quando Wes Craven ci ha lasciati nel 2015 nessuno pensava che la saga di Scream avrebbe avuto un seguito, soprattutto dopo il quarto capitolo diretto dal regista nel 2011. Anche prima che Scream vedesse la luce si era scettici riguardo la possibilità di proseguire il racconto dopo un terzo capitolo, quello del 2000, così apparentemente conclusivo. Eppure ogni volta gli autori di Scream stupiscono il pubblico provando a dimostrare che l’universo partorito da Craven negli anni 90 non smette mai di fornire elementi e spunti di riflessione sul genere horror, proprio perché è questa materia quella su cui si fonda e quella che viene rinnovata e trasfigurata nel corso degli anni: se l’horror cambia, anche Scream continua a esistere cambiando.

Nel 2022 la saga è stata riavviata (con titolo curioso: Scream, e non Scream 5) malgrado gli ostacoli che ne hanno procrastinato e impedito la realizzazione, prima per via della dipartita del padre artistico e poi per lo scandalo Weinstein. Oggi, con quello stesso nuovo cast, quella coppia di nuovi sceneggiatori e di nuovi registi, la saga è giunta a Scream VI e dimostra che il passaggio di testimone è stato completato.

Ghostface è tornato

Le sorelle Samantha e Tara Carpenter si lasciano alle spalle gli ultimi sanguinosi eventi che hanno scosso, per l’ennesima volta, la cittadina di Woodsboro. Insieme si trasferiscono a New York, dove vivono insieme ai fratelli Chad e Mindy. Mentre Tara dimostra di essere riuscita a superare il trauma di ciò che le è capitato, Sam ancora teme il fantasma di Ghostface e non riesce a vivere la propria vita senza condizionare quella di sua sorella. Il corso delle cose darà sfortunatamente ragione a lei: una serie di omicidi disseminati per la Grande mela insinuerà il sospetto che ci sia un nuovo Ghostface a minare l’equilibrio quasi ritrovato, anche oltre i confini di Woosboro.

Metaslasher che quasi dimentica di essere uno slasher

Uno squillo di telefono, una bionda che risponde. La bionda è Samara Weaving e questa scelta pone già le basi per una prima riflessione: non è più una delle brave ragazze di Hollywood a conversare per prima con Ghostface (in Scream non conviene mai essere le prime, e Drew Barrymore lo sa bene), bensì un volto noto fra gli accoliti del genere horror per essere la protagonista indomabile di Finché morte non ci separi e quella pericolosa di The Babysitter. Da una parte respingente per questo; dall’altra accondiscendente nei confronti del linguaggio horror, perché il corpo della donna sexy è da sempre bersaglio del villain e dell’occhio spettatoriale: rimane comunque curioso inserire questo simbolo cinematografico, la bad girl di un horror che evolve rispetto a quello degli anni novanta, in una circostanza narrativa che ha come esito possibile solo la sua uccisione mediante i tropi horror più classici. Poi però c’è già il primo colpo di scena, perché il killer mascherato non farà una fine migliore.

“Chi se ne frega dei film” urla quello vero, scagliando il suo coltello verso lo spettatore incredulo e tagliando una parte di schermo per far spazio al titolo sul cui significato grafico i fan hanno speculato negli ultimi giorni. Per proseguire si ritorna alle vere protagoniste di questa nuova serie nella serie, le sorelle Sam e Tara (quest’ultima interpretata dalla “Mercoledì” Netflix, Jenna Ortega, già promessa scream queen per le prossime generazioni), che sono legate da uno dei rapporti più suonati del cinema tutto.

Una sorella traumatizzata, l’altra che cerca di controllarla; la sorella che vorrebbe vivere libera e l’altra che tenta di tarparle le ali “per il suo bene”. Una soluzione abusata che in sé non avrebbe nulla di particolarmente malvagio, non fosse soltanto uno dei numerosi momenti fra personaggi che nella prevedibilità non trovano neppure l’occasione di indagare su quegli stessi meccanismi di cui Wes Craven si sarebbe certamente fatto beffa (basti ricordare il momento musical di Scream 2).

E così ecco che coloro che diffidano da Gale Weathers (portata in scena dall’iconica Courteney Cox), così tanto da odiarla, cominciano a temere che le accada qualcosa di terribile attraversando un excursus emotivo che definire sbrigativo e monodimensionale sarebbe quasi riduttivo. Si nota spesso, in Scream VI, un’attenzione marcata nei confronti della componente emozionale dei personaggi, ma il tranello in cui cadono James Vanderbilt e Gay Busick alla sceneggiatura è di dimenticarsi di dileggiarli, cedendo a interventi e soluzioni narrative e pedestri e sterili.

Tutto ciò risulta piuttosto incoerente con la resa di alcuni personaggi, che sono sempre consapevoli del proprio ruolo all’interno dell’opera (l’esperta di horror che spiega le regole all’interno del film slasher), e tramite cui si segue alla lettera la tradizione di Scream senza grossi stravolgimenti, strizzando l’occhio allo spettatore di continuo (dovesse mai dimenticarsi cos’è Scream). Un terzo atto che riporta alla mente quel microcosmo zeppo di riferimenti cinematografici che era il maniero di Roman, nel terzo capitolo di Scream, rimane forse ciò che, insieme a un prologo ben costruito e a qualche idea degna di nota (la comunicazione fallace fra finestre di palazzi antistanti, per esempio), costituisce valido motivo per dare una possibilità al sesto Scream. Si ha però la sensazione di continuo deja vu in uno slasher che vorrebbe riflettere sullo slasher e che allo stesso tempo dimentica di essere slasher (timidissimo il bodycount delle vittime, che sembrano non morire mai).

Si continua a sospettare che Scream sia tornato a essere ciò che solitamente eludeva e scherniva, e che solo la firma di Williamson alla sceneggiatura e quella di Craven alla regia avrebbero potuto surclassare ciò che era stato ottenuto con il sorprendente quarto capitolo del 2011, metafilm horror per eccellenza. Un’impressione fra l’altro confermata dall’esistenza di un’opera come Sick, recente horror a tema pandemico che di Williamson porta anche la firma alla regia e che è, probabilmente, “più Scream” – negli intenti, nello spirito, nella consapevolezza del genere di riferimento – di quanto non siano riusciti a essere i primi due capitoli della nuova saga.

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Federica Cremonini

Il Voto della Redazione:

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