“Princess”: l’anima dietro la disumanità
Roberto De Paolis, dopo aver diretto alcuni cortometraggi – tra cui “Bassa Marea” e “Alice” – entrambi tra l’altro presentati alle passate Mostre di Venezia – ed esordito dietro la macchina da presa di un lungometraggio nel 2017 con “Cuori Puri”, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes e candidato al David di Donatello come Miglior Opera Prima – ha aperto la Sezione Orizzonti della 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, con “Princess”.
Una seconda opera attraverso cui De Paolis affronta il delicatissimo argomento della prostituzione, e in particolare della condizione in cui queste ragazze, in questo caso di origine nigeriana, sono costrette a svolgere quello che viene definito il mestiere più vecchio del mondo. Giovani ingannate, vendute, sfruttate e spesso costrette per necessità, sole in un paese straniero che le ripudia e non offre loro alcuna possibilità di riscatto.
Innegabile la difficoltà nel portare sul grande schermo un argomento così ‘scomodo’. Una tematica difficile da raccontare e portare sul grande schermo, il cui rischio era quello di dare vita ad un ritratto che ne estremizzava la drammatica brutalità e privo di profondità e di rispetto. Un rispetto doveroso nei confronti di queste ragazze che non provano alcun piacere e soddisfazione nel vendersi ed essere vendute, che subiscono violenza prima dai loro ‘padroni’ e poi dai clienti.
“Ho costruito il film con l’idea di non creare un film che fosse esclusivamente su un immigrato o immigrata, bensì un film che potesse abbracciare il punto di vista di un immigrata o immigrato, in modo da poter ribaltare l’oramai comune punto di vista e raccontare la storia seguendo la loro visione” – spiega il regista De Paolis nel corso della Conference Press – “Ho iniziato cercando di conoscere gli immigrati che incontravo normalmente per strada e nelle varie associazioni, fino a quando non mi sono imbattuto nel mondo della prostituzione. Sono andato in un posto dove gli immigrati passano il confine tra l’Italia e la Francia, sulle montagne con la neve” – prosegue – “Ricordo che mi raccontarono la storia di una ragazza nigeriana che si chiamava Blessing ed era morta tentando di attraversare le montagne, e il cui corpo fu ritrovato congelato dopo qualche giorno. Dà lì ho iniziato a pensare al mondo della prostituzione e a parlare con le ragazze nigeriana che lavorano per strada, rendendomi conto sempre più che quel mondo poteva racchiudere bene il tema dell’immigrazione data la loro marginalità. Una marginalità vissuta, come nel film, anche nei boschi, lontano da ciò che noi abbiamo costruito, dalle nostre società, piazze, case e palazzi. Una sorta di stato primordiale. Ho visto queste ragazze mangiare gli animali che trovavano, costruire delle casette improvvisate dove rimanevano a dormire. Una marginalità quindi molto molto forte in grado di restituire il tema dell’immigrazione in modo potente anche visivamente.”
Princess è una giovane clandestina nigeriana che vende il proprio corpo ai margini di una grande città. Come un’amazzone a caccia, si muove in una pineta che si estende fino al mare, un bosco incantato in cui rifugiarsi, nascondersi dalla vita, guadagnarsi il pane quotidiano. Per sopravvivere deve fiutare l’odore dei soldi, schivare pericoli e sentimenti, un cliente dopo l’altro, senza soluzione di continuità. Finché un giorno litiga con le amiche con cui condivide la strada e incontra un uomo che sembra volerla aiutare. Ma è soltanto da sola che Princess potrà salvarsi.
“Mantenendo la promessa di fare un film anche con loro, dalla scrittura alle riprese, con l’aiuto di diverse ragazze sono poi arrivato a lei” – continua il regista riferendosi alla protagonista Glory Kevin – “Ho deciso di lasciarla libera di raccontarsi e rappresentarsi nei diversi stati d’animo nel momento in cui succedeva una determinata cosa, quello che pensava e sentiva” – prosegue De Paolis parlando sempre di Glory – “E’ stato un film molto istintivo, che ha seguito gli impulsi di Glory. Sarebbe stato assurdo costringerla a fare ciò che noi dicevamo. Lei ha vissuto la strada e di conseguenza la conosceva meglio di noi, e venendo da una situazione di costrizione per noi è stata anche una sorta di liberazione poterle dare la libertà di fare ciò che voleva e partecipare creativamente al film.”
“Princess”, è un ritratto tanto crudo quanto delicato, con un’anima ben definita che non lascia spazio all’immaginazione e mostra perfettamente la reale condizione di queste giovani sfruttate. Glory Kevin, come detto, ha provato sulla propria pelle quel tipo di vita, e quella naturalezza e libertà, cercata e voluta da De Paolis, mostra per l’appunto quel dovuto rispetto, permettendo così allo spettatore di stabilire un contatto empatico con lei. Una connessione non pietosa, ma di comprensione nei confronti di una dimensione spezzata in cui troppo spesso regnano i luoghi comuni.
“Il personaggio che interpreto proviene dalla mia esperienza e questo mi ha dato la forza di fare tutto ciò” – svela Glory Kevin – “E’ la mia storia, ed è quello che ho vissuto. Ho fatto questo film per tutti gli africani, affinché si possa vedere cosa succede nelle strade, il modo disumano di come veniamo maltrattate e considerate non esseri umani. Ma noi siamo esseri umani, e attraverso questo film voglio che la gente se ne renda conto.”
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Emanuela Giuliani