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Parthenope, la recensione: un viaggio nella bellezza, ma senza una vera rivelazione

La recensione di Parthenope, il novo film di Paolo Sorrentino un viaggio nella bellezza, ma senza una vera rivelazione.

Presentato in anteprima alla 77esima edizione del Festival di Cannes, Parthenope, l’ultimo film scritto e diretto da Paolo Sorrentino, arriva finalmente nelle sale cinematografiche il 24 ottobre, portando con sé una scia di giudizi contrastanti. Se da un lato le aspettative erano altissime, dettate dalla notorietà internazionale del regista e dal suo premio Oscar, dall’altro non sono mancate le voci critiche che, dopo la proiezione del film al festival, hanno suscitato in molti un pizzico di scetticismo. Commenti negativi, purtroppo, che sembrano confermare un’impressione di delusione che ha il sapore di una visione incompleta, capace di affascinare ma non di soddisfare appieno.

Un film che si ripete: l’incontro tra il presente e il passato

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Parthenope si presenta sin dalle prime immagini come un film dall’estetica impeccabile e da una poetica senza tempo, che riesce a coinvolgere lo spettatore in modo intimo ed enigmatico, come solo Sorrentino sa fare. Il regista riesce, infatti, a creare un’atmosfera unica, avvolgente, che racconta la sua Napoli, ma non quella che ci si aspetta, bensì una città dai contorni misteriosi e onirici, in cui si intrecciano le visioni personali e collettive di un’intera cultura. La forza visiva e simbolica è uno degli aspetti più potenti del film, che gioca con la metafora, le immagini e la suggestione, tuttavia sembra perdersi in un labirinto di temi già esplorati dal regista, con una sceneggiatura che risulta fin troppo ricca di argomenti.

Sorrentino affronta, come già in molti dei suoi lavori, tematiche universali come l’amore impossibile, il rimpianto, il senso della vita, della morte, l’appartenenza e la riflessione sull’impossibilità di sottrarsi a un destino che appare già scritto, e che, nonostante la forza della passione, continua a schiacciare ogni tentativo di ricerca di libertà. Eppure, malgrado l’approfondimento dei temi, non si arriva a una vera rivelazione e Parthenope non riesce a dare risposte nuove a domande che il regista ha già analizzato in passato con maggiore incisività. La sua Napoli, tanto amata e decantata, rimane una città di misteri non svelati, eppure la sensazione è che non ci sia nulla di veramente nuovo o sconvolgente da scoprire.

Il personaggio centrale di Parthenope è una figura complessa, che incarna l’anima della città stessa, la protagonista, interpretata da Celeste Della Porta, è una donna che non ha nulla a che fare con il mito della sirena e si fa portatrice di una passione inarrestabile per la libertà, ma il suo carattere narcisista, sensuale e superficiale non riesce a suscitare una forte empatia nel pubblico, rendendo la sua evoluzione poco coinvolgente.

La sua presenza è quasi sempre accompagnata da un velo di presunzione e un atteggiamento di distacco che, più che avvincere, finisce per allontanare lo spettatore, a differenza delle figure secondarie che si rivelano più affascinanti come l’effervescente Greta Cool, interpretata da Luisa Ranieri, una donna ambigua e potente, o il professor Devoto Marotta di Silvio Orlando, che offre una prestazione misurata e tenera. Accanto a loro, i personaggi del Vescovo ipocrita (Peppe Lanzetta) e di John Cheever (Gary Oldman) aggiungono un tocco di decadenza e di tragicità che arricchisce la narrazione, ma che non basta a salvare il film dalla sua eccessiva pesantezza.

Una bellezza che rischia di disperdersi

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Parthenope è un film che non lascia indifferenti, destinato a dividere. Se da un lato la bellezza estetica e l’intensità delle immagini sono straordinarie, dall’altro la trama si perde in temi già noti e in un eccessivo accumulo di contenuti che rischiano di disperdersi, impedendo una connessione più profonda con lo spettatore. La scelta di sviluppare una narrazione a più livelli, carica di simbolismi e metafore, diventa alla fine un punto debole che appesantisce l’esperienza visiva, lasciando la sensazione di un viaggio che non arriva a compiersi davvero.

In conclusione, Parthenope è un film che, seppur affascinante e ricco di spunti visivi, non riesce a raggiungere la stessa intensità emotiva e narrativa delle precedenti opere di Sorrentino, come La grande bellezza o È stata la mano di Dio, e nonostante la maestria tecnica, si perde nella bellezza formale e nel rimpianto di un passato che sembra aver esaurito il suo potenziale.

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Emanuela Giuliani

Il Voto della Redazione:

6


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