La recensione di Palazzina Laf, il film esordio alla regia di Michele Riondino presentato alla Festa del Cinema di Roma 2023
Questa Festa del cinema di Roma 2023 sarà ricordata anche come l’anno dei grandi debutti. Dopo Paola Cortellesi infatti, è stata presentata al Festival l’opera prima di Michele Riondino: Palazzina Laf.
Prodotto da Carlo Degli Esposti e Nicola Serra, Palazzina Laf è una produzione Palomar, Bravo e Bim con Rai Cinema e in co-produzione con Paprika FIlm. Nel cast: Michele Riondino, Elio Germano, Vanessa Scalera, Domenico Fortunato, Gianni D’Addario, Michele Sinisi, Fulvio Pepe, Marina Limosani, Eva Cela, con Anna Ferruzzo e con la partecipazione di Paolo Pierobon.
Scritto dal regista con Maurizio Bracci, il film racconta l’agghiacciante storia dell’omonima palazzina del titolo e del primo caso di mobbing italiano.
Palazzina Laf, la trama
Ambientato nel 1997, è la storia di Caterino, un uomo semplice e rude, nel complesso industriale dell’Ilva di Taranto. Quando i vertici aziendali decidono di utilizzare Caterino (Riondino) come spia per individuare i lavoratori di cui sarebbe bene liberarsi. Caterino comincia così a pedinare i colleghi e a partecipare agli scioperi solo ed esclusivamente alla ricerca di motivazioni per denunciarli.
Ben presto, non comprendendone il degrado, chiede di essere collocato anche lui alla Palazzina Laf, dove alcuni dipendenti, per punizione, sono obbligati a restarvi privati delle loro consuete mansioni. Questi lavoratori non hanno altra attività se non quella di passare il tempo ingannandolo giocando a carte, pregando o allenandosi come fossero in palestra.
Caterino scoprirà sulla propria pelle che quello che sembra un paradiso, in realtà non è che una perversa strategia per piegare psicologicamente i lavoratori più scomodi, spingendoli alle dimissioni o al demansionamento. E che da quell’inferno per lui non c’è via di uscita.
Palazzina Laf: la genesi
Attivista e in prima linea sulle vicende del suo territorio, Riondino compie il “grande passo” dietro la macchina da presa aggiungendo un nuovo tassello alla cronaca dell’Ilva. Il suo esordio, costruito con minuzia di particolari grazie al lavoro svolto con il bravissimo Bracci, è iniziato – come ha spiegato in sede di conferenza stampa – dalle tante storie denunciate dai lavoratori inseriti nella palazzina. Tantissime voci, dopo i torti, fisici e psicologi, subiti, che hanno deciso di raccontare a Riondino la loro storia per far sì che tanti spettatori conoscessero una delle tante vicende di mobbing italiano.
Palazzina Laf: Michele Riondino è Caterino
Caterino, interpretato magistralmente da Riondino, è una persona semplice il cui unico interesse nella sua vita è sopravvivere. Il lavoro per lui è una fonte di sussistenza e per questo è totalmente noncurante di soprusi, minacce e morti sul lavoro. Quando viene convocato da Giancarlo Basile (interpretato da Elio Germano) è felice di avere ottenuto una promozione soprattutto perchè avrà anche una macchina (di seconda mano) tutta per sé. Disposto a fare il doppio gioco per Basile, quando vede per la prima volta Palazzina Laf, pensa si tratti di un piccolo paradiso. Nella palazzina non si lavora, si passa il tempo prendendo il sole, pregando o giocando a tennis. Entusiasta all’idea, Caterino chiede di essere spostato lì e viene accontentato.
Palazzina Laf: un esordio necessario con una regia intensa
E’ un personaggio immorale ed egoista quello di Caterino. Il passare dei giorni nella palazzina infatti sembra non avere su di lui lo stesso effetto che hanno per gli altri. Mentre tutti sono preoccupati, stanchi, arrabbiati e disperati, Caterino passa il tempo continuando a spiarli e mai prendendo una posizione rispetto a ciò che accade. Chi viene spostato alla Laf perde la cognizione del tempo del lavoro e della vita. Il non fare nulla, il vivere giorni uguali è un lento passaggio verso il logorio interiore. Tra coloro che pregano per un futuro o per un presente migliore, e chi si rivolge al sindacato per trovare una soluzione, Caterino osserva e si limita a non fare altro.
La regia di Riondino, che studia il passaggio tra interno ed esterno con grande attenzione, ci propone gli esterni poveri della vita di Caterino agli interni di una palazzina stretta, i cui spazi sono tutti occupati e i personaggi quasi stentano a muoversi. Questo confronto tra il dentro e il fuori, arricchito dalle immagini della fabbrica, luogo di lavoro estremamente pericoloso, sono forte immagini narrative con cui il regista mostra allo spettatore ulteriori informazioni.
La macchina da presa segue il personaggio come fosse in un reportage, inserendolo nel contesto sociale a cui appartiene e documentando il suo contorno. Palazzina Laf doveva denunciare questo fatto di cronaca italiana e fa molto di più. Dimostra gli effetti delle ingiustizie, le urla, le proteste di chi le subisce e l’orribile alienazione psicologica. Perché, semmai alla lettura ci fossero dei datori di lavori, dietro un operario c’è sempre un individuo, un’anima, con sentimenti, ideali e un cuore.
Il film, che uscirà in sala prossimo 30 Novembre, è guidato quindi da questa intensa regia in cui traspare tutto il sentimento di Riondino non solo per la causa ma anche per la sua terra. A ciò si sottolinea la bravura nel dirigere sé stesso e un meraviglioso cast corale, formato tra gli altri dalla penetrante Scalera, che, nell’essere conscio della “missione” del film, si propone allo spettatore con consapevolezza e sensibilità ottenendo una performance credibile ed emozionante. A loro va aggiunto il già citato Elio Germano, un attore che non ha certo bisogno di presentazioni, un interprete straordinario, capace del più disumano, orribile e senza scrupoli datore di lavoro.
Palazzina Laf si chiude con il vero processo, con immagini video e audio difficili da digerire però fondamentali per credere ancora nella giustizia.
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Simona Grisolia
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