La recensione di: Omicidio nel West End: in un giallo ad essere eliminato è sempre il personaggio più sgradevole.
“E’ un giallo, e visto uno li hai visti tutti”. Con questa affermazione un po’ cinica e provocatoria si apre Omicidio nel West End, esordio alla regia di Tom George, regista premiato con il BAFTA per la sua serie This Country. Il film, distribuito da The Walt Disney Company Italia dal 29 settembre, si inserisce in un genere ben conosciuto e che non ha bisogno di troppe presentazioni: il giallo, in perfetto stile Agatha Christie.
La citazione alla regina del genere non è casuale, perché Omicidio nel West End sembra quasi una rivisitazione in chiave moderna dei suoi celebri romanzi, con la struttura tipica dei suoi misteri. Come da tradizione, la vittima è il personaggio più sgradevole, ed è proprio questa figura che subisce un misterioso omicidio nel cuore di Londra. La trama ruota attorno a un ambizioso progetto cinematografico che sta per adattare la celebre opera teatrale Trappola per Topi (la quale, nell’universo del film, sta per celebrare la sua 100esima rappresentazione), quando l’irascibile regista americano Leo Kopernick, interpretato da Adrien Brody, viene assassinato dietro le quinte. L’atmosfera che si respira in questi momenti è quella tipica delle opere di Christie, in cui ogni personaggio potrebbe essere il colpevole e ogni pista sembra portare a una nuova impasse.

Il caso viene affidato all’ispettore Stoppard, un investigatore alcolizzato e cinico interpretato da Sam Rockwell, che porta sullo schermo una performance impeccabile. Al suo fianco c’è l’agente Satlker (Saoirse Ronan), una novellina dalle grandi ambizioni, che ama il cinema noir e i romanzi gialli. La loro dinamica è la chiave del film: una coppia di investigatori dall’approccio contrastante, che ricorda quella classica dei romanzi del genere, dove le differenze tra i protagonisti si dissolvono gradualmente attraverso l’indagine e la cooperazione. Stoppard, seppur segnato dal passato e dai suoi vizi, finisce per trovare una sorta di redenzione grazie all’entusiasmo e all’inesperienza della sua giovane collega.
Questa “strana coppia” di detective, pur priva di una chimica che ricorda le partnership più iconiche del cinema, riesce a intrattenere con un mix di umorismo e indagine, riuscendo a mantenere il pubblico coinvolto e divertito per tutta la durata del film. I loro scambi brillanti e ironici, tra un’indagine che si sviluppa nei teatri londinesi, in lussuosi hotel e in case di campagna, sono una delle principali attrazioni del film.
Nel costruire questa storia, Omicidio nel West End omaggia anche altre opere teatrali come Un ispettore in casa Birling di J. B. Priestly e Il vero ispettore Hound di Tom Stoppard, intrecciando il mondo del teatro e del cinema con un linguaggio che rimanda sia alle tradizioni del genere giallo che a quelle del teatro dell’assurdo. La scenografia, i costumi e il trucco sono curatissimi, e l’atmosfera degli anni ’50 londinesi è ricreata con grande attenzione al dettaglio, trasportando lo spettatore in un’epoca affascinante e nostalgica.
Nel complesso, Omicidio nel West End è un film che sa come divertirti senza prendersi troppo sul serio. La sua narrazione brillante, senza grandi pretese, è ideale per chi cerca una storia leggera, ma ben fatta, che offre un intrattenimento gradevole e spensierato. Se vi piacciono i gialli alla Christie e un po’ di ironia nel mistero, questo film è perfetto per una serata di relax e divertimento.
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Emanuela Giuliani
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