“Old” – Recensione: l’inesorabile scorrere del tempo
E’ approdato il 21 luglio nelle sale italiane “Old”, il nuovo inquietante thriller diretto dal visionario regista M. Night Shyamalan salito alla ribalta della scena cinematografica nel 1999 con “Il Sesto Senso”, e che, dopo alcune scelte non molto riuscite, è riuscito a riconquistare il successo grazie a “Split”, “Glass”, entrambi sequel di “Unbreakable”, e “The Visit”.
Ispirato alla graphic novel “Sandcastle” di Pierre Oscar Lévy e Frederik Peeters, ricevuta da Shyamalan come regalo per la festa del papà ed il quale ne acquistò i diritti dopo averla letta ed esserne rimasto completamente affascinato, in “Old” una famiglia durante una vacanza nel resort di una sconosciuta località tropicale scopre che la spiaggia appartata dove si stanno rilassando, assieme ad altri selezionati ospiti, li sta facendo invecchiare rapidamente, riducendo di conseguenza le loro intere vite ad un solo giorno e quell’angolo di paradiso verde in un vortice infernale.
Interpretato da un notevole cast internazionale che include i nomi del vincitore del Golden Globe Gael García Bernal, Vicky Krieps, Rufus Sewell, Ken Leung, Nikki Amuka-Bird, Abbey Lee, Aaron Pierre, Alex Wolff, Embeth Davidtz, Eliza Scanlen, Emun Elliott, Kathleen Chalfant e Thomasin McKenzie, “Old” è un viaggio all’interno della psiche, delle fragilità umane, dei legami familiari, della crescita. Un viaggio in cui l’infanzia lascia il posto all’adolescenza, e l’adolescenza all’età adulta, con all’impossibilità di accettarne l’evoluzione a causa dell’incomprensibile realtà in cui i personaggi ed il pubblico vengono catapultati, ed il cui convulso susseguirsi delle emozioni e angosce, dettato dalla veloce surreale ripetitiva ciclicità, sgretola le loro esistenze come fosse un Castello di Sabbia.
Un naturale processo esasperato oltre ogni limite, che Shyamalan segue con meticolosa cura cogliendone e sottolineandone ogni colore e sfumatura grazie ad inquadrature ravvicinate il cui obiettivo e quello di evidenziare lo stupore degli interpreti, i quali implodono nel tentativo di fermare la folle accelerazione. Un’attenzione ineccepibile ma che tuttavia spesso ne penalizza e trascina la narrazione, cadendo in una visione monotona che ne spegne parte della curiosità, della suspense e dell’attenzione nei confronti dei colpi di scena, ma non la riflessione sulla tematica dello tempo.
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Emanuela Giuliani
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