Il film di Ridley Scott cerca di togliere l’alone di mitologia dal grande condottiero corso Napoleone ma è una narrazione troppo potente
Ridley Scott con Napoleone ha firmato un’opera molto personale e molto particolare, con cui desacralizzare la figura del più grande generale di tutti i tempi, sposando una visione più intima e privata. Scelta discutibile forse ma inseguita con coerenza.
Ma davvero è possibile desacralizzare un titano della Storia? Ma chi è stato Bonaparte? Perché a dispetto degli ossari disseminati di milioni di morti per tutti è un mito, quasi un eroe?
Un tiranno sanguinario o un eroe?
A suo tempo un grande storico militare come Correlli Barnett sancì il verdetto severo e definitivo: Napoleone? Fu come Hitler. Come lui egli era un tiranno, un dittatore, strategicamente inetto, salvato per anni da una macchina militare miracolosamente retta da generali e marescialli di incredibile valore, nemico della libertà e battuto (ovviamente) per fortuna da un’alleanza trasversale di popoli, dopo aver fallito pure lui contro il colosso russo.
Barnett era (ma guarda che strano) inglese, e si sa che gli inglesi da sempre si vedono come liberatori di quell’Europa di cui non vogliono far parte, ma di cui si sentono l’ago della bilancia. C’è solo un piccolo problema: solo loro lo pensano. Barnett fu molto criticato per quest’uscita, che non teneva conto di un fatto inequivocabile: Napoleone è stato tra i più grandi Generali di ogni tempo, di sicuro il più grande tattico mai visto su un campo di battaglia, al netto di un’incapacità di essere leader politico raffinato che infine, ovviamente, gli costò la sconfitta.
Ridley Scott opta per una distruzione del mito, un mito che si è consolidato in virtù di ciò che Napoleone ancora oggi rappresenta: l’individualismo contro le gabbie della società. La sua vita è stata a dir poco incredibile, assurda, mastodontica, in essa risplendeva la negazione dello status quo che proprio l’Inghilterra, così come le altre monarchie europee, volevano ricostruire nella Francia rivoluzionaria, in spregio a ciò che voleva il popolo. Avevano il terrore che pure nei loro paesi le grandi masse smettessero di essere succubi e chiedessero libertà, diritti, di avere una voce che gli permettesse di andare oltre un destino segnato.
Il grande paradosso storico, è che Napoleone fu tanto amato dai suoi compatrioti, quanto ad un certo punto detestato proprio dai popoli a cui cercò di imporre regnanti e la bandiera francese. Accadde in Spagna e Portogallo, in Italia, nell’Europa centrale. Eppure, per un altro di quei paradossi che solo la Storia sa regalare, negli zaini della sua Grande Armata, i suoi soldati portavano oltre a munizioni ed equipaggiamento, anche gli ideali di quella Rivoluzione che egli aveva stroncato, con un personalismo che oggi sappiamo essere conseguenza del populismo più anarchico. Grazie a Napoleone abbiamo avuto una spinta verso quelle rivoluzioni e moti popolari che avrebbero creato le Nazioni moderne democraticamente intese.
Il simbolo della libertà individuale più totale
Napoleone affascina perché era un uomo piccolo, brutto, goffo, con basse skills sociali, solitario, veniva da una famiglia in disgrazia, eppure con le sue sole qualità, con un genio militare, uno sprezzo del pericolo e una volontà adamantine, diventò per alcuni anni l’uomo più potente del mondo.
Dall’altra parte avevamo Re, Imperatori, Duchi, gente nata nel privilegio e convinta di essere scelta da Dio per spassarsela, lui invece (come avrebbe ricordato Virzì in N – Io e Napoleone) fu sempre visto, si vide, pure da Imperatore, come un prodotto della borghesia, un simbolo delle classi emergenti. Mentre negli eserciti che lui prese a calci per vent’anni gli alti gradi erano sempre o quasi dati a gente per diritto di nascita, lui fece Marescialli e Comandanti d’Armata figli di locandieri, contrabbandieri, mercanti o simili. Certo, fu tiranno e dittatore, ma chi non lo era tra i potenti dell’epoca? Fu odiato dai suoi nemici in quanto prodotto di una classe inferiore, o meglio perché gli ricordava da dove venivano.
Napoleone, che i suoi soldati amarono come furono amati solo Cesare, Alessandro, Annibale o Gustavo Adolfo di Svezia, era il simbolo dell’ipocrisia dell’aristocrazia che lo rifiutò sempre, nata da uomini come lui, armati di spregiudicatezza, determinazione ed egoismo. Poi si erano ripuliti, si erano dati titoli, potere, bei vestiti e parrucche, avevano chiamato in causa Dio. Lui Dio lo sbeffeggiò incoronandosi da solo, mettendo in galera un Papa reazionario e fanatico come fu Pio VII. Napoleone è stato il Maradona dei campi di battaglia, ne combatté tantissime, vinse in condizioni impossibili da sfavorito, come lui fu antitetico rispetto all’ideale di condottiero bello, aitante, seduttore, asserzione suprema di quanto in fondo siano gli uomini a fare la Storia più che lei a fare loro.
Ancora oggi, ammirando quella Waterloo dove arrivò vecchio, malato, imbolsito, come per Teutoburgo quasi tutti tengono per il perdente, perché come per le legioni romane, sappiamo che i fantaccini francesi sono stati portatori di quella modernità, che poi il Congresso di Vienna follemente cercò di cancellare fallendo miseramente.
Fu un tiranno? Chi non lo era allora? Ma tra i tanti feroci dominatori, in lui risplende una coerenza, una solitudine da numero primo, che non smetterà mai di sedurci e affascinarci, e questo nessun regista o storico inglese potrà mai cancellarlo.
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Giulio Zoppello