Arriva nei cinema italiani: Mufasa: Il Re Leone, il film diretto da Barry Jenkins a cui manca il vero tocco del regista premio Oscar.
Dopo il successo ottenuto nel 2019 con la versione in live-action del classico dell’animazione Disney del 1994 de Il Re Leone, diretto da Jon Favreau, la Disney non solo ha deciso di portare sul grande schermo la storia delle origini di Mufasa, sempre nella versione in live-action, bensì di puntare ancora più in alto scegliendo per la regia niente meno che Barry Jenkins, vincitore nel 2017 dei premi Oscar per il miglior film, miglior sceneggiatura non originale e miglior attore assegnato a Mahershala Ali per: Moonlight, basato sull’opera teatrale In Moonlight Black Boys Look Blue di Tarell Alvin McCraney.
Una scelta che ha stupito lo stesso Jenkins ma perfettamente comprensibile considerando l’ambizione dello studio nel voler realizzare un prequel che esplorasse con la dovuta profondità, le origini del grande e indimenticabile Re, la sua ascesa nelle Terre del Branco, nonché l’importanza dei legami familiari, di sangue, il sacrificio, la brama del potere e le conseguenze che questo porta con se.
Mufasa: Il Re Leone, fratelli non di sangue
Unendo tecniche cinematografiche live-action con immagini fotorealistiche generate al computer, come fatto del resto con il precedente adattamento campione d’incassi, Mufasa: Il Re Leone, nelle sale cinematografiche italiane dal 19 dicembre, vede Rafiki, raccontare la leggenda di Mufasa, dalla voce di Luca Marinelli, alla giovane cucciola di leone Kiara, figlia di Simba e Nala, con Timon e Pumba ad offrire il loro caratteristico spettacolo.
La storia, arricchita di flashback, racconta quindi di Mufasa, un cucciolo rimasto orfano di entrambi i genitori a causa di una violenta alluvione, perso e solo fino a quando non incontra il piccolo leone di nome Taka, erede di una stirpe reale e doppiato da Alberto Boubakar Malanchino. Un incontro che li vedrà crescere insieme e, loro malgrado, li costringerà ad intraprendere uno straordinario viaggio assieme a gruppo di sventurati, alla ricerca del proprio destino e del proprio posto all’interno del ‘cerchio della vita’. Accompagnati dalla giovane leonessa Sarabi, dal giovane Rafiki, e dal pennuto Zazu, rispettivamente doppiati da Elodie, Edoardo Stoppacciaro e Riccardo Suarez Puertas, i due leoni si scontreranno con un branco di leoni bianchi conosciuti come gli ‘emarginati’, che metterà a dura prova i loro legame fraterno.
Mufasa: Il Re Leone, un cerchio della vita privo di emotività
Con l’annuncio di Barry Jenkins dietro la macchina da presa, le aspettative nei confronti di Mufasa: Il Re Leone, sono cresciute con il passare del tempo. Curiosità e attesa dovuta in particolare alla profonda sensibilità che il regista possiede, provata non solo nel sopracitato Moonlight, ma anche nell’ancor più intenso Se la strada potesse parlare, presentato alla passata 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma, e che di conseguenza avrebbe donato all’adattamento.
Una poetica tuttavia venuta a mancare proprio nell’approfondimento di quei legami familiari cuore dell’intera storia di Mufasa: Il Re Leone, e in primis nel rapporto tra fratelli non di sangue tra Mufasa e Taka, e di come questo dalla reciproca fiducia si evolva in tradimento e scontro a causa del desiderio di affermare il proprio rango e potere.
Legame in cui la fratellanza, il sacrificio, l’amicizia e il perdono avrebbero senza alcun dubbio meritato una maggiore emotività, così come la sofferenza e lo smarrimento provato da chi viene messo da parte e guardato con diffidenza poiché le sue radici non risiedono in quelle terre. Una confusione interiore su cui pesa il contesto circonstante, e che spinge a cercare se stesso, la propria identità e libertà nel ricordo dei proprio affetti superando ogni bene materiale e diversità, ma che in Mufasa: Il Re Leone, non ha la giusta forte determinazione che avrebbe contribuito a far emergere quello stato d’animo specchio delle difficoltà e dei pregiudizi dell’attuale società.
In Mufasa: Il Re Leone possiamo dire che le ambizioni hanno superato di gran lunga le aspettative con una storia priva di quelle complesse sfumature tridimensionali e di quel calore che avrebbero scavato nell’animo lasciando un segno indelebile, avvolgendo, emozionando e commuovendo.
Visivamente affascinante, grazie anche ad un lavoro più accurato e dettagliato di quello del 2019 che hanno dato vita a scenari mozzafiato, ecco che a penalizzare il film sono anche le musiche originali, composte anche dal candidato all’Oscar, per Oceania e Encanto, Lin-Manuel Miranda, che rimanendo entro i confini dell’ordinario, come la storia, sono anch’esse prive di quel trasporto emotivo che hanno reso iconici i brani originali di Hans Zimmer.
Un sapore dolce amore quello lasciato da Mufasa: Il Re Leone, che non riesce a spiccare veramente il volo e che avrebbe necessitato del vero tocco viscerale di Barry Jenkins, ma ciò non toglie che sicuramente conquisterà la sua buona parte di fan.
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Emanuela Giuliani
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