Dieci curiosità di Mission, il capolavoro cinematografico del 1986 diretto da Roland Joffé e scritto da Robert Bolt.
Mission (The Mission) è il capolavoro cinematografico del 1986, diretto da Roland Joffé e scritto da Robert Bolt. Un film epico, ambientato nel XVIII secolo in Sud America, che intreccia tematiche profonde come la fede, la redenzione e il colonialismo europeo, celebre per la sua intensa forza narrativa, le spettacolari ambientazioni naturali e la straordinaria colonna sonora composta da Ennio Morricone, considerata tra le più memorabili della storia del cinema.
La vicenda si svolge nell’attuale Paraguay, all’interno delle missioni gesuite che cercavano di proteggere e convertire le popolazioni indigene Guaraní, opponendosi alle ambizioni espansionistiche dei colonizzatori spagnoli e portoghesi.
Protagonista del film è Padre Gabriel (Jeremy Irons), un gesuita che si avventura nella giungla per fondare una missione tra i Guaraní. A lui si unisce Rodrigo Mendoza (Robert De Niro), un ex mercenario e trafficante di schiavi che, dopo un tragico evento personale, intraprende un cammino di redenzione abbracciando la fede e diventando missionario. Tuttavia, la fragile pace delle missioni viene messa in pericolo dagli interessi politici europei, costringendo i protagonisti a una drammatica scelta tra la nonviolenza e la resistenza armata.
Mission si ispira a eventi storici reali legati alla soppressione delle missioni gesuite, avvenuta nella seconda metà del XVIII secolo, dopo il Trattato di Madrid del 1750, quando il controllo di quei territori passò dalla Spagna al Portogallo, ed esplora con profondità il conflitto tra fede e potere politico, spiritualità e violenza, giustizia divina e autorità terrena. Il contrasto tra Padre Gabriel, sostenitore della nonviolenza, e Mendoza, pronto a imbracciare le armi per difendere gli indigeni, incarna l’eterno dilemma morale tra il porgere l’altra guancia e lottare contro l’ingiustizia.
Acclamato dalla critica, Mission vinse la Palma d’Oro al Festival di Cannes nel 1986 e ricevette sette nomination agli Oscar, aggiudicandosi la statuetta per la miglior fotografia (Chris Menges). La colonna sonora di Morricone è universalmente apprezzata e continua a essere utilizzata in documentari e cerimonie religiose.
1. Musica immortale: “Gabriel’s Oboe”
Il brano non è solo una composizione musicale, ma un vero e proprio personaggio invisibile del film, la melodia dell’oboe è una preghiera senza parole, una voce spirituale che dialoga con il silenzio della foresta e il cuore dei Guaraní. La sua esecuzione nella scena in cui Padre Gabriel si presenta alla tribù è una delle più potenti nella storia del cinema: l’oboe, invece che le armi, diventa il primo strumento di contatto. La sua popolarità ha superato ogni confine: è stata reinterpretata da Yo-Yo Ma, Sarah Brightman e Andrea Bocelli, ed è persino usata nelle scuole di musica come esempio di “perfetto equilibrio tra tecnica e emozione”.
2. Un cast eccezionale e affiatato
Il film rappresenta una delle rare occasioni in cui due giganti del cinema, Irons e De Niro, condividono lo schermo non in competizione, ma in armonia narrativa. Le loro differenze attoriali diventano una risorsa: Irons, con il suo stile teatrale e interiore, e De Niro, più fisico e tormentato, incarnano due modi opposti ma complementari di vivere la fede. Il giovane Liam Neeson, al suo debutto internazionale, ha raccontato in seguito quanto quell’esperienza lo abbia formato anche sul piano umano, vivendo per mesi a stretto contatto con popolazioni indigene e in condizioni quasi monastiche.
3. Riprese in luoghi mozzafiato (e difficili)
Le condizioni estreme delle riprese hanno richiesto una dedizione fuori dal comune da parte della troupe, le cascate dell’Iguazú, uno dei luoghi naturali più spettacolari al mondo, non erano facilmente accessibili: attrezzature trasportate a mano, fango costante, insetti, serpenti, e il rischio di frane. Alcune scene sono state girate con camere sospese tra le cime degli alberi, anticipando tecniche che oggi sarebbero affidate ai droni, questo approccio realistico ha creato un’immersione visiva totale, mai più replicata con la stessa autenticità.
4. Autenticità linguistica e culturale
Un elemento di straordinaria modernità. In un’epoca in cui i film hollywoodiani spesso “imbiancavano” culture altrui, Mission scelse il realismo e il rispetto. I veri Guaraní coinvolti nel film non solo portarono la loro presenza scenica, ma influenzarono anche il modo in cui venivano scritte e girate le scene, alcune reazioni e rituali non furono recitati, ma realmente vissuti. Questo ha reso il film un documento etnografico unico nel suo genere, spesso studiato anche in corsi di antropologia visiva.
5. Ennio Morricone e la spiritualità della colonna sonora
Scrivere la musica prima del film fu un gesto quasi rivoluzionario che permise alla colonna sonora di guidare la regia come se fosse una liturgia a cui l’immagine si inchinasse. Morricone mescolò suoni occidentali e strumenti precolombiani, creando una tessitura sonora che rappresentava il dialogo (spesso tragico) tra culture, in particolare, il brano “On Earth as it is in Heaven” è oggi considerato uno dei brani musicali più evocativi mai scritti per il cinema, e viene spesso usato per simboleggiare l’armonia (perduta) tra uomo e natura.
6. De Niro: metodo e trasformazione
La dedizione di De Niro andò oltre ogni standard: studiò i testi dei gesuiti, imparò rudimenti di lingua guaraní, e visse per settimane con sacerdoti e comunità missionarie. Per la scena della penitenza, scelse un terreno impervio e reale, con rocce taglienti e acqua gelida. Le sue mani e ginocchia riportarono ferite visibili, la produzione offrì l’uso di corde e controfigure, ma lui rifiutò. Questo tipo di immersione completa rende la sua redenzione non solo credibile, ma quasi “vissuta” dallo spettatore.
7. Un film “teologico” e filosofico
Mission è uno dei rari film che riesce a essere al tempo stesso poetico e didattico, viene proiettato non solo in contesti religiosi, ma anche in corsi universitari dedicati ai diritti umani, alla filosofia morale e alla geopolitica. Le figure di Gabriel e Mendoza rappresentano le due anime del cristianesimo: la contemplazione e l’azione, la fede silenziosa e la lotta concreta. L’ambivalenza delle loro scelte non viene mai giudicata, ma proposta come oggetto di riflessione etica.
8. Finale potente e ambivalente
Il finale rompe le convenzioni del lieto fine hollywoodiano. La missione viene distrutta, i protagonisti muoiono, ma ciò che resta è una vittoria spirituale. Lo spettatore è chiamato a interrogarsi: chi ha davvero vinto? La brutalità del potere o la forza della testimonianza? La scena in cui i bambini Guaraní raccolgono la croce tra le rovine diventa un simbolo di speranza: la fede, l’arte e l’amore resistono, anche nella sconfitta. È una fine che non consola, ma eleva.
9. L’Oscar mancato (e il risarcimento morale)
Il mancato Oscar a Morricone è spesso citato come uno dei più grandi torti nella storia dell’Academy. La colonna sonora di Round Midnight, per quanto raffinata, era composta da brani preesistenti. Molti critici parlarono di “incomprensione culturale”, con l’industria americana incapace di valorizzare opere dalla forte impronta europea e spirituale. Il risarcimento arrivò tardi, ma solenne: nel 2007 Morricone ricevette un Oscar alla carriera dalle mani di Clint Eastwood, accompagnato da una standing ovation che commosse l’intero auditorium.
10. Impatto politico e culturale globale
La forza di Mission non è solo estetica: ha inciso concretamente sul dibattito pubblico. In America Latina ha riaperto ferite e generato consapevolezza storica. In Europa ha stimolato riflessioni sul passato coloniale e sul ruolo della Chiesa. In Vaticano è stato proiettato più volte in occasione di convegni sull’evangelizzazione e i diritti delle popolazioni indigene. ONG come Amnesty International e Survival International lo hanno utilizzato come materiale educativo. Ancora oggi, viene citato in simposi su ecologia integrale e dialogo interculturale.
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Emanuela Giuliani