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Maria, la recensione: Pablo Larrain fa di nuovo pace con il genere biopic

Angelina Jolie protagonista di un film coerente ed elegante sugli ultimi giorni della Divina, con cui il regista cileno torna finalmente in carreggiata.

Maria di Pablo Larrain arriva carico di attese, dubbi e anche paure, per chi aveva seguito il regista nella sua involuzione degli ultimi anni, con Spencer e El Conde che avevano oggettivamente deluso in molti. Ma ecco che il biopic dedicato alla grande cantante lirica è invece una piacevole sorpresa e la conferma del suo talento di regista, che ci dà un taglio con il manierismo tout court e ci dona uno spaccato biografico coerente e non privo di eleganza.

Maria, sinossi

immagine film maria

Maria ci guida nella Parigi del 1977, quando la 53 Maria Callas (Angelina Jolie), è ormai allo stremo delle forze, piegata dall’abuso di farmaci e una serie di complicazioni sempre più gravi che l’hanno resa uno spettro, solo l’ombra della splendida Diva che incantò per vent’anni il mondo.

Persa dentro un delirio continuo in cui allucinazione e realtà ormai sono sempre più indistinguibili, Maria Callas ha solo il fido maggiordomo Ferruccio (Pierfrancesco Favino) e la domestica Bruna (Alba Rohrwacher) al suo fianco, che lottano giorno e notte per cercare di farla tornare alla ragione, ascoltare i consigli del medico, ritrovare un motivo per andare avanti che vada oltre la musica.

Intanto, ecco che la Callas riannoda i fili del suo passato, con la storia d’amore con Aristotele Onassis (Haluk Bilginer), i fasti nei teatri d’opera di tutto il mondo, il lusso e i tragici ricordi di quando era costretta a tutto pur di sopravvivere nella Grecia occupata dai nazisti.

Maria, la coerenza e l’eleganza

scen film maria

Maria abbraccia quindi una struttura narrativa ben poco scolastica, sia per la presenza di frequentissimi flashback e flashforward, sia per la volontà da parte di Pablo Larrain, di fare della musica d’opera non un contorno, ma l’elemento caratterizzante della protagonista. Le arie più famose, gli assoli più leggendari della Divina, si materializzano di fronte ai suoi occhi mentre si aggira per una Parigi eterea e deserta, autunnale e pittorica.

La fotografia di Ed Lachman è perfetta per rendere Maria quasi un musical in alcuni istanti, ma senza per questo abbracciare la dimensione favolistica o ancor peggio, quella edulcorante una tragicità che per fortuna, permane per tutti i 123 minuti, per quanto soffusa ed elegante. Bellissimi i costumi di Massimo Cantini Parrini e le scenografie di Guy Hendrix Dyas, ma tutto questo sarebbe stato inutile senza una sceneggiatura ben calibrata e soprattutto senza lei, Angelina Jolie, che si è messa a studiare per diversi mesi il canto, che ce la mette tutta per essere La Divina per eccellenza.

Per molto tempo la fu Lara Croft era sparita dai riflettori che contavano, complici anche alcuni passi falsi in carriera e problemi privati. C’è un parallelo incredibile tra la sua vita e i problemi che Maria Callas dovette affrontare, su tutti una vita sentimentale agitata, una salute precaria e un divismo isolante al massimo. La Jolie si dona completamente al personaggio di Maria Callas, sa come darle forza e assieme fragilità, come renderla insopportabilmente altera e assieme tenerissima e indifesa di fronte alla sua stessa mente, al corpo in disfacimento.

La lotta contro il proprio corpo che cede, contro la dipendenza da farmaci, viene resa in modo perfetto da Larrain, che al contrario di Spencer e El Condé, non perde la bussola, non rinuncia alla giusta distanza dal suo soggetto. Favino e la Rohrwacher sono perfetti nei panni di questi due servitori che appaiono essere l’unica famiglia reale per la Callas, di cui sopportano tenere angherie e la cocciutaggine, consci nel profondo che la sua sia un’autodistruzione volontaria e senza ritorno.

Maria è un film coerente, molto elegante ma in modo scolastico in un certo senso; tuttavia, quando Larrain decide di premere sull’acceleratore si nota immediatamente, per quanto l’uso del bianco e nero sia una trovata semplice quanto efficace per innestare una variazione necessaria all’iter. La Jolie è brava? Si. Ma è onestamente difficile donare la potenza di una delle figure artistiche più complesse del XX secolo, di una cantante lirica. Apprezzabile lo sforzo, ma l’impressione finale è che manchi forse qualcosa, soprattutto per ciò che riguarda i primissimi anni, i trionfi appaiono e scompaiono, così come il primo matrimonio.

Ad ogni modo Maria ha il merito di essere un melodramma diverso dai canoni hollywoodiani che naturalmente ne avrebbero ingoiato la spontaneità, e il mostrarne in modo così palese i difetti, le debolezze, le nevrosi, è il miglior antidoto ad un certo perfezionismo che ha distrutto la possibilità di avere nelle nostre narrazioni al femminile una componente umana credibile.

Maria Callas, creatura meravigliosa per talento e determinazione, sfortunata negli affetti e nella salute, è stata un terremoto artistico, una divinità quando ancora ne esistevano. Questo non è il miglior biopic che si potesse fare su di lei, ma ha la dignità dei propri limiti e tante qualità apprezzabili.

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Giulio Zoppello

Il Voto della Redazione:

6


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