Il film “Lo Schiaccianoci e i Quattro Regni” inizia con un’immagine suggestiva di una città avvolta nella magia del Natale: “pigne, cannella, castagne e ceppi di legno ardevano nel camino”, creando un’atmosfera incantevole, che subito fa intravedere il contrasto tra il calore domestico e il gelo dell’inverno. Le folate di neve, il battito d’ali del gufo che vola tra i tetti delle case, tutto contribuisce a costruire l’immagine di un paesaggio incantato e quasi surreale. In questo scenario di festosa tranquillità, si inserisce la storia della giovane Clara Stahlbaum, interpretata da MacKenzie Foy, una ragazza che vive una vigilia di Natale che la porterà ben lontano dalla sua realtà familiare. Clara riceve dal padre, interpretato da Matthew Macfadyen, un misterioso regalo dalla madre recentemente scomparsa: uno scrigno a forma di uovo, con una serratura senza chiave. Questo dono scatenerà un viaggio che, più che fisico, è soprattutto un percorso di scoperta interiore per la protagonista.
Il film si sviluppa in un contesto natalizio ricco di simbolismi e misteri, dove l’inconscio e il fantastico si intrecciano in un’avventura che porta Clara a incontrare il soldato Philip (un personaggio interpretato da un altro giovane protagonista), il quale diventa la sua guida in questo mondo parallelo. Questo mondo, i Quattro Magici Regni, diventa il cuore della narrazione, un luogo dove Clara esplora non solo gli spazi fantastici, ma anche la sua identità, attraverso gli incontri con i reggenti di ciascun regno, tra cui Fata Confetto (Keira Knightley), a capo del Regno dei Dolci, e la perfida Madre Cicogna (Helen Mirren) che governa il Regno del Divertimento. La missione di Clara diventa quella di trovare la chiave che aprirà lo scrigno misterioso, ma lungo il cammino scoprirà anche segreti legati alla vita della madre e un legame più profondo con il mondo dei regni magici di quanto inizialmente avesse immaginato.
La forza del film risiede certamente nell’ambientazione visiva, che esplora il confine tra la realtà e la fantasia in modo straordinario. La scenografia, curata con minuzia da Guy Hendrix Dyas, crea un universo distintivo per ogni regno, che si distingue per colori, forme e atmosfere. Il Regno dei Dolci, ad esempio, è un tripudio di caramelle e zucchero filato, in cui tutto sembra prendere vita, mentre il Regno del Divertimento è più oscuro, intriso di mistero e tensione. La fotografia di Linus Sandgren è fondamentale per trasmettere la magia di ogni ambiente, con una cura dei dettagli che regala allo spettatore una sensazione di immersione totale in un mondo fantastico.
Non solo la scenografia, ma anche i costumi, disegnati da Jenny Beavan, aggiungono una dimensione incantevole al film. Ogni abito, dai vestiti sontuosi di Clara alla figura eterea di Fata Confetto, è un pezzo d’arte che contribuisce a costruire l’idea di una fiaba vivente, visivamente impeccabile. Le acconciature e il trucco, curati da Kat Ali e dal team di esperti, non sono da meno, trasformando i personaggi in figure che sembrano uscire da un sogno ad occhi aperti. In particolare, l’interpretazione di Keira Knightley nei panni di Fata Confetto, che alterna un comportamento dolce e visibilmente infantile a un lato più intrigante e misterioso, aggiunge un ulteriore strato di fascino visivo e psicologico alla pellicola.
Tuttavia, nonostante l’incanto visivo e la bellezza delle scenografie, il film soffre di alcune carenze narrative che ne minano il potenziale. La sceneggiatura, scritta da Ashleigh Powell e Simon Beaufoy, non riesce a reggere il peso di una trama così ricca di elementi fantastici. La storia si rivela troppo semplice, priva della complessità che ci si aspetterebbe da una fiaba di questo calibro. I personaggi, pur interpretati da un cast di talentuosi attori, non riescono a brillare come dovrebbero. La relazione tra Clara e gli altri personaggi, in particolare con Philip e la figura enigmatica della madre, non è sufficientemente esplorata, rendendo difficile per lo spettatore entrare in sintonia con i protagonisti.
Un altro aspetto che risulta deludente è la mancanza di una vera e propria evoluzione emotiva nei personaggi. Clara, pur vivendo un’avventura straordinaria, non subisce una trasformazione significativa o un cambio di prospettiva che giustifichi la sua evoluzione all’interno della storia. La ricerca della chiave diventa simbolica ma non riesce a toccare in profondità lo spettatore, né ad offrirgli un percorso emotivo condiviso. Inoltre, l’introduzione di figure come Madre Cicogna, che sembrano rappresentare il conflitto e il lato oscuro della fiaba, non è mai veramente esplorata, rimanendo superficiale.
In definitiva, “Lo Schiaccianoci e i Quattro Regni” è un film che colpisce per la sua bellezza visiva e il suo impatto estetico, ma che delude sul piano narrativo. Nonostante l’armonia tra musica, scenografie e costumi, la mancanza di una trama solida e di una connessione emotiva tra i personaggi lascia lo spettatore con una sensazione di incompiuto. Il film riesce a incantare per un breve periodo, ma non è in grado di coinvolgere profondamente. Mentre la magia visiva riempie gli occhi, la sua capacità di toccare il cuore e suscitare emozioni durature resta, purtroppo, limitata.
Nonostante il suo potenziale, il film non riesce a risvegliare quella sospensione dell’incredulità che una fiaba del Natale dovrebbe innescare. Il pubblico resta spesso distante da un mondo che, pur magnificamente ricreato, non affonda abbastanza nelle emozioni e nella psicologia dei personaggi. “Lo Schiaccianoci e i Quattro Regni” rappresenta, quindi, una grande occasione mancata: un film che avrebbe potuto toccare corde più profonde, ma che finisce per essere, più che una fiaba indimenticabile, un’esperienza visiva di grande impatto, ma emotivamente vuota.
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