La recensione de L’Esorcista del Papa, il film ispirato agli scritti di padre Gabriele Amorth, nelle sale cinematografiche italiane dal 13 aprile 2023.
Qualcuno, in qualche momento, da qualche parte, deve aver pensato che fosse una brillante idea quella di ispirarsi ai libri scritti da padre Gabriele Amorth per la realizzazione di un film sulla sua attività di esorcista che ha ricoperto il periodo compreso fra il 1986 e il 2016. Ecco perché esiste un film come L’esorcista del Papa, film di Julius Avery interpretato da un Russell Crowe ancora in grande forma (questo va riconosciuto), e in uscita nelle sale il 13 aprile.
La trama de L’esorcista del Papa
Gabriele Amorth (Russell Crowe) è un presbitero che è incaricato di indagare su un caso di possessione demoniaca. Il luogo è una cupa abbazia di San Sebastiàn, che Julia (Alex Essoe) ha cominciato a ristrutturare. Suo figlio Henry (Peter DeSouza-Feighoney) è la vittima. Solo Amorth sembra possedere gli strumenti per affrontare questa minaccia demoniaca e rispedirla nel luogo da cui è giunta.
Non un esorcismo come tutti gli altri
Non è mai facile approcciarsi con spirito critico a film come L’esorcista del Papa. Non c’è ironia in quest’affermazione: quando ci si trova davanti a un’opera tanto sfacciatamente derivativa – l’incisione sulla pelle che recita “GOD IS NOT HERE” vi ricorderà qualcosa di ben noto – quanto fieramente sardonica è sempre piuttosto difficile comprendere dove finisca il suo senso della serietà e dove cominci quello della caricatura sprezzante del rigore formale e del rischio.
Di esempi cinematografici che seguono questa linea se ne trovano diversi, ma mai come in quest’epoca specifica è mai accaduto che si prestasse un’attenzione particolare al fenomeno. Russell Crowe deve aver intravisto nelle potenzialità de L’esorcista del Papa una possibilità di profitto notevole sul piano finanziario e, malgrado tutto, deve aver avuto ragione: il film potrebbe essere l’inizio di una trilogia ed è possibile, considerati i suoi costi presumibilmente bassi, che vada addirittura in guadagno. Fra l’altro è proprio l’attore a costituire il punto d’interesse centrale dell’opera: mentre una certa categoria di film di genere in cui l’azione è ibridata all’horror sembra, col tempo, rimpicciolirsi sul piano artistico e qualitativo nel complesso, Russell Crowe fornisce prova concreta di come le star attorno cui ruotano possono arrivare a costituirne la sola e unica ragione valida per entrare in sala.
Julius Avery non è nuovo all’operazione: già aveva costruito il suo fumettoso Samaritan, pur potendo contare su un testo senza ombra di dubbio migliore, sulla figura carismatica e onnipresente di un Sylvester Stallone che del supereroe ha già i connotati al di fuori dello schermo, appiattendo il confine fra finzione e realtà. In modo simile e allo stesso tempo diversissimo, Crowe fa la sua entrata nel pàntheon – o dovremmo dire “olimpo”, visto il ruolo con cui in Thor: Love and Thunder ha prestato corpo e voce allo Zeus più risibile e canzonatorio di tutti i tempi – delle star così grandi che non hanno bisogno di un’opera grande quanto loro.
Un film folle (e fiero di esserlo)
Il problema è che L’esorcista del Papa non è neppure, in fin dei conti, medio. È un film piccolo, modesto, umile e ironico: a meno che non vogliamo prendere sul serio un esorcista che sui Faith No More se ne va in giro a bordo di una Lambretta, o che risponde a tono ai cardinali che dubitano delle sue capacità. Si parlava di come esista una tipologia di film di genere che, indecisa sul genere a cui appartenere definitivamente, decide di abbracciarli un po’ tutti.
L’esorcista del papa è un esorcismo che non è raccontato con il linguaggio de L’esorcista, a dispetto di quanto ci si aspetterebbe. Sembra determinato, anzi, ad allontanarsi quanto più possibile da William Friedkin in toto, nel suo prendere le distanze sia dall’opera magna a tema possessione demoniaca e sia dal suo modo di raccontare lo stesso personaggio ne Il diavolo e Padre Amorth, che invece si prendeva molto (decisamente troppo) sul serio. Avery adopera, al contrario, i codici dell’azione più mainstream, dando vita a un folle assemblaggio fra l’action contemporaneo di casa MCU (comprensibile, dato il percorso del regista) e i toni, le atmosfere, le piste narrative de Il codice da Vinci, in un film che devia presto dalla ritualità per indagare le sale oscure degli intrighi, degli innominabili segreti e dello sterminato potere ecclesiastico.
Amorth non deve essere narrato con impegno di fedeltà, perché assurge a simbolo supereroistico dell’eterna lotta del bene contro il male, rielaborata nello spirito del blockbuster odierno. Anche se senza i suoi mezzi. L’esorcista del Papa è prevedibile, è semplice ed eccessivo insieme, talvolta bruttino, ma allo stesso tempo così spassoso e consapevole di essere tutto questo che, quasi (e sottolineiamo il quasi), non ha senso scriverne una recensione crudele.
© Riproduzione Riservata
Federica Cremonini
Il Voto della Redazione: