“L’Arminuta”: il regista Giuseppe Bonito racconta la rabbia, il coraggio e l’abbandono della ritornata

“L’Arminuta”: il regista Giuseppe Bonito racconta la rabbia, il coraggio e l’abbandono della ritornata

Tra i 18 titoli in lizza per rappresentare l’Italia alla 94esima edizione degli Oscar, svelati qualche giorno fa, troviamo anche “L’Arminuta”, trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo best seller, vincitore del Premio Campiello 2017, scritto da Donatella Di Pietrantonio ed edito da Einaudi, diretto da Giuseppe Bonito, regista di “Figli” (vincitore del Nastro d’Argento come miglior commedia).

Presentato alla 16esima Mostra del Cinema di Roma attualmente in corso, il film, nelle sale dal 21 di ottobre, porta sullo schermo la storia di una ragazzina di tredici anni costretta a lasciare la vita cui appartiene per ricongiungersi alla famiglia in cui è nata e a cui non sapeva di appartenere, passando da un mondo moderno e ricco ad una realtà rurale e ancora arcaica. Uno straniamento attraverso cui l’Arminuta, ossia la ritornata, dovrà elaborare il senso di abbandono per arrivare a scoprire quello di appartenenza in un mondo a lei completamente estraneo.

Una storia intensa e estrema che ha conquistato i lettori facendoli immedesimare in una ragazza che con rabbia e coraggio elabora dentro di sé il significato del rapporto genitori – figli, della maternità, dell’amore e dell’abbandono.

“Dal punto di vista personale faccio ancora fatica a dire cosa mi ha raccontato e lasciato questa storia. Quando un libro ti tocca nel profondo in modo così potente, ne viene fuori un percorso di consapevolezza che ancora non riesco a mettere bene a fuoco. Come regista invece è un libro straordinariamente intenso, un luna park di sentimenti, di conflitti che mi hanno colpito da subito” – dichiara il regista Giuseppe Bonito nel corso della press conference “E’ stato come guardare una vecchia fotografia la cui precisione mi ha fatto ritrovare ambienti, visi, odori, situazioni che io, pur non essendo abruzzese ma cilentano, ho avuto l’impressione di conoscere, e che mi hanno ripotato alla mia infanzia. E’ la prima volta che mi capita di leggere un libro in grado di dare questo tipo di profondità alle persone, e ciò che ho trovato veramente allettante è il fatto che fosse declinato al femminile. L’idea di raccontare una storia quasi esclusivamente di donne mi piaceva tantissimo, rappresenta una sfida per un regista uomo, e per è stata davvero molto molto interessante. Il contrasto è stato l’elemento base della sceneggiatura così come nel girare il film. Una polarità che ha guidato tante scelte, dalla fotografia al lavoro con degli attori. Parliamo di persone, personaggi e tematiche ben identificabili nella realtà. Avevo già in mente le interpreti e gli interpreti e il lavoro che ho fatto con loro è stato semplice, e mentre giravo ho sentito la necessità di guardare la storia dal loro punto di vista.”

Ne “L’Arminuta” emerge il tentativo di riconciliare degli opposti, due parti estremamente differenti dove per l’appunto il mondo arcaico si contrappone a quello più moderno, il dialetto stretto all’italiano parlato correttamente, il mare alla montagna, nonché due figure materne interpretate rispettivamente da Vanessa Scalera e Elena Lietti, tanto distanti quanto simili nei traumi che condizionano inesorabilmente le loro esistenze, con la minuta figura dell’arminuta a fare da cerniera.

“Io e Elena non ci siano confrontate, ci conosciamo e stimiamo. Io vengo da un piccolo paesino del sud e sono arrivata a questa madre, a quel mondo contadino e a quel sentimento che non esplode mai, avendo conosciuto e vissuto tutto questo” – afferma Vanessa Scalera“Quegli occhi dolenti io li ho visti in tante famiglie. Il mio è un personaggio che gioca in difesa e recuperare quel ricordo è stato fondamentale poiché ognuno di noi si aggrappa a quello che ha visto e vissuto, e anche Giuseppe, essendo un uomo del sud, ha incontrato quegli occhi, che esprimono ma non verbalizzano. Molto probabilmente siamo figli di esperienze molto simili. C’è un recupero di un sud che ho visto e ho tentato di riportare. Di solito quelle donne e uomini lì, che non hanno avuto un tessuto emotivo caldo, conservano in se una parte bambina che vuole soltanto essere accolta, e io ho notato che questa donna in realtà piccola, dolce con un suo bisogno di tenerezza. Io e Giuseppe abbiamo iniziato proprio da qui, e la figlia, l’arminuta è il suo riscatto.”

“Adalgisa è quella che tra le due madri compie il gesto riprovevole di restituire la figlia, quando invece lei è proprio quella che si può permettere di crescerla, poiché vive nel benessere”dice Elena Lietti“Per me è stato un viaggio in un’epoca, in un contesto sociale, culturale e religioso molto preciso, ed unendo i puntini sono stata in grado di ricostruire il processo mentale e capirla. E’ stato un bel percorso avvincente.”

Ciò nonostante, considerando le difficoltà che comporta adattare un romanzo per il grande schermo, “L’Armituta” a causa di una costruzione narrativa spesso manchevole, non permette allo spettatore di entrare emotivamente in contatto con la storia, che spesso si perde nell’incessante susseguirsi del vortice contradditorio dei tormentati dualismi.

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