La recensione di: La Stranezza, il film diretto da Roberto Andò presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma.
Presentato in anteprima alla 17ª Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public e nelle sale italiane dal 27 ottobre, La stranezza segna un nuovo, ambizioso capitolo della filmografia di Roberto Andò, che torna sul grande schermo a un anno da Il bambino nascosto. Il regista, affiancato alla sceneggiatura da Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, ci regala un’opera densa di suggestioni, in bilico tra il tributo al genio di Luigi Pirandello e una riflessione metacinematografica sul processo creativo e il confine sottile tra arte e vita.
Protagonisti assoluti del film sono Toni Servillo, Salvo Ficarra e Valentino Picone, che con grande maestria portano in scena una storia ispirata a eventi reali – come il viaggio di Pirandello in Sicilia per l’ottantesimo genetliaco di Giovanni Verga – intrecciandoli con elementi di finzione, in un continuo gioco di specchi che è anche il cuore pulsante del pensiero pirandelliano.
Siamo nel 1920. Luigi Pirandello, già affermato intellettuale, torna a Girgenti, sua città natale, per tenere un discorso celebrativo in onore di Verga. Ma il viaggio prende una piega imprevista quando, al suo arrivo, scopre la morte della sua amata balia Maria Stella. Questo lutto lo mette in contatto con Nofrio e Bastiano, due becchini locali – e teatranti amatoriali – interpretati con ironia e profondità da Ficarra e Picone.
Un banale disguido legato al funerale costringe lo scrittore a sostare nella sua casa nella valle del Caos, dove lo assalgono visioni, ricordi e inquietudini. È qui che nasce quella “stranezza”, quell’idea ancora indefinita che germoglierà nel seme rivoluzionario dei “Sei personaggi in cerca d’autore”.
Il rapporto tra Pirandello e i due becchini, così come la loro improvvisata compagnia teatrale e la recita tragicomica a cui Pirandello assiste, diventano fonte di ispirazione. La realtà si trasforma in teatro, il teatro diventa specchio della vita.
Come afferma lo stesso Roberto Andò, l’obiettivo del film non è soltanto quello di narrare un episodio della vita di Pirandello, ma di indagare il caos creativo, quel terreno fertile in cui il dramma e la commedia convivono, si sovrappongono, si annullano a vicenda. Il regista omaggia Leonardo Sciascia, da cui ricevette in gioventù una biografia di Pirandello scritta da Gaspare Giudice, e intreccia la propria memoria personale con quella collettiva, tracciando un filo ideale tra cinema, letteratura e teatro.
Andò costruisce così una narrazione che riflette sul processo artistico in sé: sulle origini dell’ispirazione, sull’importanza dell’osservazione, e sul ruolo che le persone comuni – come Nofrio e Bastiano – possono avere nel dare forma a un capolavoro.
Toni Servillo è magnetico nel ruolo di Pirandello. La sua interpretazione riesce a catturare tutte le sfumature del personaggio: l’intellettuale tormentato, l’uomo malinconico, il creatore in cerca di senso. È un Pirandello lontano dai cliché, come lo definisce lo stesso attore, “sottratto alla pesantezza intellettualistica” e restituito alla sua umanità.
La vera sorpresa del film è però l’inedito affiatamento tra Servillo, Ficarra e Picone. Il duo comico siciliano – noto per il suo registro brillante – riesce a fondere umorismo e profondità, incarnando quel mondo popolare da cui Pirandello ha sempre tratto linfa vitale. Il risultato è un’alchimia riuscita, che sfida e supera ogni distinzione tra comico e drammatico.
Visivamente, La stranezza è un’opera curata e immersiva. La scenografia firmata da Giada Calabria e i costumi di Maria Rita Barbera ricreano un’epoca ormai lontana, restituendo con fedeltà e poesia la Sicilia degli anni Venti. Impossibilitati a girare nella vera casa di Pirandello, oggi trasformata in un museo digitale, Andò e il suo team hanno ricostruito i luoghi dell’anima del drammaturgo tra Erice, Trapani, Palermo e Catania, restituendo una Sicilia ricca di memoria e fascino.
Il film si chiude idealmente nel Teatro Valle di Roma, dove nel 1921 si tenne la discussa prima de Sei personaggi in cerca d’autore. La scena della rappresentazione, con Nofrio e Bastiano tra il pubblico, è un finale toccante e potente: qui, finzione e realtà si fondono in un’unica, vertiginosa dimensione.
La stranezza è un film ricco, stratificato, poetico. Una riflessione profonda sull’arte e sulla vita, che mescola con sapienza linguaggi diversi – teatro, cinema, memoria, invenzione – e ci regala uno sguardo inedito su un gigante della cultura italiana. Grazie a una scrittura raffinata, a una regia ispirata e a interpretazioni di altissimo livello, Roberto Andò firma un’opera che non solo racconta la genesi di un capolavoro, ma celebra anche la potenza universale della narrazione.
Un film che si lascia attraversare, che si ascolta, si osserva e, alla fine, resta impresso nella memoria. Una stranezza, sì. Ma di quelle che ci ricordano perché vale ancora la pena raccontare storie.
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Emanuela Giuliani
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