halle Bailey e Jonah Hauer-King ne La Sirenetta

La Sirenetta: recensione del live-action Disney con Halle Bailey

La recensione dell’attesa rivisitazione in live-action de La Sirenetta, il classico animato della Disney del 1989 nelle sale italiane dal 24 maggio 2023.

Sono passati trentaquattro anni dall’uscita nelle sale de La Sirenetta (The Little Mermaid), classico dell’animazione che ha dato il via al Rinascimento Disney nel 1989. Eppure il film di John Musker e Ron Clements, tratto dall’omonima fiaba di Hans Christian Andersen, è ancora oggi un capolavoro che ha rivoluzionato, attraverso una storia di formazione, i canoni dell’animazione nel profondo. Oggi Disney ravviva la sua fiaba con un live-action interpretato da Halle Bailey, Jonah Hauer-King , Noma Dumezweni, Javier Bardem e Melissa McCarthy.

La sirenetta: trama

Halle Bailey ne La sirenetta

Scritto dal due volte candidato all’Oscar David Magee (Vita di Pi, Neverland – Un sogno per la vita), La Sirenetta racconta l’amata storia di Ariel, una bellissima e vivace giovane sirena in cerca di avventura. Ariel, la figlia più giovane di Re Tritone e la più ribelle, desidera scoprire di più sul mondo al di là del mare e, mentre esplora la superficie, s’innamora dell’affascinante principe Eric. Alle sirene è vietato interagire con gli umani, ma Ariel deve seguire il suo cuore e stringe un patto con la malvagia strega del mare, Ursula, che le offre la possibilità di sperimentare la vita sulla terraferma, mettendo però in pericolo la sua vita e la corona di suo padre.

La Sirenetta è un remake dignitoso, ma un po’ pedante

Halle Bailey nel live-action de La Sirenetta

C’era molto rumore attorno all’uscita di un live-action de La Sirenetta, specialmente da quando ha cominciato a circolare la notizia (subito confermata) secondo cui sarebbe stata Halle Bailey a interpretare la sirena che dà il titolo al film. Le prime preoccupazioni emerse erano quelle legate a un presunto revisionismo applicato all’iconica protagonista dai capelli rossi e dalla pelle diafana: un revisionismo che, a dire il vero, non potrebbe nemmeno essere definito tale per via della matrice fiabesca da cui ogni rendimento della storia di Andersen ha origine. Con poca sorpresa da parte di chi scrive, invece, la scelta ricaduta su Bailey si è rivelata non solo particolarmente calzante con le esigenze di narrazione (chi, meglio di una cantante come lei, avrebbe potuto interpretare la protagonista di una storia che si sviluppa proprio a partire dal valore della sua celestiale voce?)  ma anche una delle novità più fresche e interessanti del live-action Disney.

Il film, diretto da Rob Marshall, lascia ben sperare nei suoi primi minuti: ad accogliere lo spettatore in questa versione del classico universalmente amato (a tal punto da risultare quasi sacro e inviolabile) è una brillante incursione fra le pagine di Andersen, che recitano “una sirena non ha lacrime, e dunque soffre molto di più”.

Un punto di aggancio notevole a una materia che si crede di conoscere per la rilettura di fantasia che Disney ne fece nell’89, ma che fra le sue virgole rivela una potenzialità tragica mai davvero sfruttata. Tuttavia, Disney non ucciderebbe mai una sua eroina, ed è una scelta anche piuttosto facile da accettare se si prende in considerazione la sua “etica”, la sua linea editoriale. Nessuno chiederebbe tanto, oltretutto; non fosse che il giuramento di fedeltà prestato alla sua primaria fonte (e non a quella originaria) genera un risultato fin troppo fiscale, addirittura pedante in diversi punti.

Un’occasione sprecata?

Melissa McCarty in La Sirenetta

Non è il primo caso in cui le potenzialità offerte dalla possibilità di attualizzare un classico intramontabile, ma inevitabilmente legato al suo contesto socio-culturale, non riescono a tradursi, con la nuova Disney, in un’occasione per riflettere sulla contemporaneità. Tutto quello che infatti contraddistingue La Sirenetta di Marshall, sul piano concettuale e sulla possibilità per la storia di metaforizzare le differenze etnografiche e sociali che plasmano i rapporti sentimentali, appartiene alla fiaba di partenza ed è preservato nel film d’animazione degli anni Ottanta.

Poco viene aggiunto, poco viene cambiato (ne saranno entusiasti i detrattori “a priori” del  film): qualche rinnovamento sintetizzabile nel gender-swap di alcuni personaggi, o l’estetica della già citata sirena, così come la multietnicità della famiglia di Ariel. Tutto il resto, la sostanza pura della storia di formazione di Ariel, rimane pressappoco invariato, consolatorio e protetto in uno spesso involucro nostalgico che avvolge questo pedissequo remake.

La Sirenetta non è privo di sequenze dall’alto impatto estetico e visivo, ma questo accade perché si limita al ricalco metodico di tutte le scene memorabili che hanno rivoluzionato l’animazione. Ed è proprio questo il maggior problema: la ragione stessa dell’esistenza di quelle sequenze, passate alla storia del cinema (e custodite nella nostra memoria spettatoriale), risiede nel suo vincolo inestricabile con il mezzo dell’animazione. La ragione per cui funzionavano, e tutte così bene, era l’averle concepite per essere espresse con quel preciso linguaggio, l’unico possibile.

Dei live-action Disney nel solco del quale s’inserisce anche La Sirenetta vige la diretta elusione del processo di adattamento: non c’è reale rilettura in questa ripetizione che spera di riproporre quella stessa magia senza passare attraverso una trascrizione di quel linguaggio. Al contrario, quel che si può ottenere è un peggioramento e uno svuotamento di quelle immagini, che per anni hanno assemblato i nostri sogni, oggi quasi fuori posto nell’epoca del realismo digitale. Disney sforna un’altra opera che porta a casa la sufficienza, fra interpretazioni giuste e il residuo di glorie passate. Solo poteva, senza dubbio, far di meglio.

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Federica Cremonini

Il Voto della Redazione:

6


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