La recensione di: La Scuola Cattolica, il film diretto da Stefano Mordini in anteprima alla 78esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
Il film La Scuola Cattolica, diretto da Stefano Mordini, affronta con coraggio uno dei crimini più efferati e simbolici della storia recente d’Italia: il delitto del Circeo, avvenuto nel 1975, a opera di giovani uomini provenienti da una scuola cattolica di élite. In un contesto storico segnato da forti contrasti sociali e politici, la pellicola esplora le radici di quella violenza e l’influenza che l’educazione di una borghesia privilegiata può avere sulle menti più vulnerabili, offrendo uno spunto di riflessione sul lato oscuro della società italiana e sulle sue contraddizioni.
La narrazione si concentra su Edoardo, un ex studente della scuola coinvolta, che tenta di comprendere le cause di una violenza cieca e gratuita che travolgerà la vita di due donne innocenti, Donatella Coalsanti e Rosaria Lopez. L’opera si presenta come un’indagine psicologica e sociale, un tentativo di fare luce su un crimine che ha scosso l’intera nazione, mettendo in discussione non solo la responsabilità dei colpevoli, ma anche quella di una società che ha permesso tale degenerazione.
Presentato in anteprima alla 78esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, il film si distingue per l’approccio senza fronzoli e la scelta di non spettacolarizzare la violenza, ma piuttosto di lasciare che sia lo spettatore a confrontarsi con la brutalità degli eventi. Mordini, insieme agli sceneggiatori Massimo Gaudioso e Luca Infascelli, si è concentrato sull’aspetto umano e psicologico dei protagonisti, rendendo il film non solo un racconto di un crimine, ma una riflessione sul male che scaturisce dalla cultura del privilegio e della supremazia.
Uno degli aspetti più rilevanti del film è l’esplorazione della responsabilità condivisa che coinvolge le famiglie e la società. Le madri dei protagonisti, interpretate da Valeria Golino, Valentina Cervi e Jasmine Trinca, sono figure centrali, ognuna con una propria forma di complicità, più o meno consapevole. Golino offre una performance intensa nel ruolo di una madre che, pur vivendo in un ambiente colto e borghese, non riesce a riconoscere la disfunzionalità del suo mondo. Cervi, invece, interpreta una madre cattolica e osservante, convinta che le regole della scuola e della società possano proteggere suo figlio, ma che non è in grado di vedere la gabbia in cui intrappola se stessa e il suo bambino. Trinca, infine, dà vita a una madre più superficiale, la cui vanità e l’adesione a modelli esterni di bellezza e successo portano a una separazione emotiva e culturale tra sé e il figlio.
Accanto alle interpretazioni delle madri, spiccano anche quelle delle giovani vittime del crimine, interpretate da Benedetta Porcaroli e Federica Torchetti. Entrambe, pur non avendo vissuto il trauma del Circeo in prima persona, si sono immerse profondamente nel contesto storico e sociale dell’epoca, riuscendo a rendere palpabile la sofferenza e l’innocenza perduta delle loro protagoniste. Torchetti, in particolare, ha parlato dell’importanza di rappresentare la figura di Rosaria come una giovane donna che, nel suo stato di verginità, diventa simbolo di una società che giudica e condanna senza scrupoli.
L’interpretazione di questi giovani attori, così come quella degli adulti, è senza dubbio il cuore pulsante del film. Ma è anche l’aspetto visivo, il modo in cui Mordini riesce a ricreare l’atmosfera dell’Italia degli anni ’70, a conferire al film un potere evocativo che trascende il mero racconto di un crimine. La scelta di non glorificare la violenza, ma di farla comprendere come un prodotto del contesto sociale e culturale, permette di mantenere alta l’attenzione sugli aspetti psicologici e morali.
Il film pone dunque una domanda fondamentale: come è possibile che dei giovani, provenienti da un ambiente protetto e apparentemente moralmente irreprensibile, possano arrivare a commettere atti così brutali? La risposta, secondo Mordini, sta nella distorsione dei valori, nella formazione di menti troppo influenzabili da ideologie politiche distorte e da una cultura maschilista che vede nella donna un oggetto da possedere e dominare. Non è un caso che La Scuola Cattolica si interroghi anche sull’attualità di questi temi, in un’epoca in cui la violenza sulle donne è ancora un problema drammaticamente presente nella nostra società.
Concludendo, La Scuola Cattolica non è solo un film su un crimine specifico, ma una riflessione profonda sulla cultura della violenza e sulla sua genesi all’interno di un sistema educativo, familiare e sociale che troppo spesso tende a ignorare le sue responsabilità. Con una regia attenta e un cast eccezionale, il film non solo racconta una tragedia, ma ci invita a guardare con maggiore consapevolezza il nostro presente e a riconoscere le radici di una violenza che, se non affrontata, continua a minare il nostro futuro.
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Emanuela Giuliani
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