“La Scelta di Anne – L’Événement”: una prospettiva in assenza di scelta
“Terremo l’onore e il resto lo daremo via” – V. Hugo
La pellicola “La Scelta di Anne – L’Événement” di Audrey Diwan, tratta dal romanzo di Annie Ernaux pubblicato nel 2000, ha colpito la giuria di Venezia 78 al punto da conquistare meritatamente il Leone d’Oro.
Il romanzo è un’opera autobiografica della stessa autrice, sulla sua diretta esperienza e la regista ha avuto occasione di leggerlo subito dopo aver abortito e questo le ha permesso di comprendere due cose: quanto possa essere duro e solitario un aborto clandestino e, come contraltare, la sua fortuna di poter abortire in ospedale circondata e curata da medici.
Una storia intima e sconvolgente, ma soprattutto una riflessione sociale che si ricongiunge alla politica, con il vissuto personale e l’attualità che si fanno eco l’una all’altro.
Il film racconta la storia vera della giovane Anne, interpretata da una monumentale Anamaria Vartolomei, vera genesi dell’opera cinematografica, che all’età di 23 anni scopre di aspettare un bambino da una fugace relazione. Siamo nel 1963 e l’aborto in Francia è illegale, come nella gran parte d’Europa, “una parola da nascondere ad ogni costo”, perchè chi lo avesse subito, praticato o adiuvato sarebbe finito in carcere.
“C’è sempre qualche ragazza che sfida la sorte e soffre pene indicibili”
Annie proviene da una famiglia di umili origini ed è consapevole che solo attraverso l’università potrà avere accesso ad una vita diversa da sua madre, moglie di un oste di provincia.
“Ho la malattia che hanno solo le donne e le trasforma in casalinghe”
Una regia asciutta e complice nel raccontare una scelta difficile ed “obbligata” di una ragazza rimasta sola, abbandonata da tutti. Anche i medici dell’epoca sono sotto l’occhio del ciclone, tra chi non approva e chi sceglie di fare l’eroe, e attraverso un grande trasporto intellettuale tende una mano, nonostante il grande rischio che sta correndo.
Un’atmosfera volutamente cruda, che si lega indissolubilmente alla narrazione. La camera è fissa su Annie, è posizionata sulla stessa linea del suo occhio e il campo visivo mostrato sullo schermo è lo stesso della protagonista. Sei lì, con lei, dietro di lei, mentre la mammana nella cucina di un appartamento di periferia le sottopone delle pratiche atroci, sei nei suoi tremori, nei suoi gemiti soffocati.
Le inquadrature sono estremamente narrative e ci consentono di seguire il viaggio di Anne verso l’ignoto, verso la pena.
La Diwan mostra lo sguardo di una ragazza che ha delle cose che non vorrebbe vedere, ma che è costretta a guardare, per poter scegliere se rinunciare a se stessa o alla vita in sè.
Negare l’aborto significava costringere la donna ad un’esperienza drammatica e dolorosa e la regista non ci risparmia nulla. Tutto accompagna “il viaggio agli inferi” di Anne, non solo la camera, ma una fotografia evocativa e crepuscolare, e la musica, che tesse trame come frasi su uno spartito. Una partitura musicale implacabile e risolutiva anch’essa per la bellezza del film.
Un messaggio politico, dal 1963 al 2021 sulla “necessaria evoluzione” del genere umano, e della donna ,ieri come oggi, che dovrebbe essere libera di poter disporre del suo corpo e scegliere consapevolmente la maternità.
Queste le parole della regista sulle connessioni della pellicola “Non penso all’arte in termini politici, ma alla politica che entra nell’arte”.
“Sono stata animata per tutta la lavorazione del film da una grande collera” – ha raccontato la Vartolomei – “Quando mi sono resa conto della violenza che comporta questa realtà. La mia più grande sfida è stata quella di rappresentare questo personaggio in modo giusto. Dovevo incontrare Annie Ernaux ma per via del lockdown non siamo riuscite a farlo e inizialmente mi sono molto dispiaciuta, ma poi mi sono detta che forse era meglio così perché questo mi ha dato la possibilità di adattare il personaggio per farne quella che io ritenevo una rappresentazione giusta”.
Una riflessione sui diritti che non vanno negati e sull’interruzione di gravidanza. Oggi apparentemente non sembra più una cosa da nascondere, c’è la legge 194, che più volte è stata messa in discussione e ci sono medici obiettori di coscienza.
Ma il film della Diwan non si limita ad essere una pellicola sull’aborto, è un grido di libertà, la libertà di scegliere il proprio futuro e la propria classe sociale. Una rappresentazione che colpisce duramente allo stomaco e ancor di più se si pensa che ancora oggi, in alcuni paesi, le donne devono sottostare alle regole imposte dalla società e dal patriarcato.
“Oggi l’assenza di scelta viene vissuta come costrizione, ecco perchè ho fatto un film sulla libertà di scelta, che è in realtà la libertà stessa dell’essere umano”
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Chiaretta Migliani Cavina