La recensione di La Diseducazione di Cameron Post, il film tratto dal romanzo di Emily M. Danforth diretto da Desiree Alchorn.
Tratto dal romanzo di culto di Emily M. Danforth, La diseducazione di Cameron Post è un film che affronta con coraggio e sensibilità il delicato tema dell’omosessualità, mettendo in luce le contraddizioni e le ingiustizie della società nei confronti della libertà di identità. Presentato in anteprima alla Tredicesima Edizione della Festa del Cinema di Roma e vincitore del Sundance Film Festival, il film è diretto dalla regista newyorkese Desiree Alchorn e vanta un’interpretazione magistrale di Chloe Grace Moretz, che conferma il suo status tra le migliori attrici del cinema americano contemporaneo.
Ambientato in una cittadina del Montana nel 1993, il film racconta la storia di Cameron Post, una giovane ragazza che, dopo essere stata sorpresa a baciarsi con una compagna durante il ballo scolastico, viene mandata dai suoi genitori in un centro religioso, il God’s Promise, con l’obiettivo di “guarirla” dalla sua omosessualità. Il centro, che pratica una sorta di terapia di conversione, è un luogo dove l’ideologia religiosa si intreccia con il desiderio di “correggere” quelle che vengono considerate deviazioni naturali. La pellicola non si limita a raccontare il calvario della protagonista, ma esplora il contesto più ampio, mettendo in evidenza la follia di trattamenti che definiscono l’orientamento sessuale come una malattia da guarire, alimentando un senso di colpa e inadeguatezza nei giovani che vi vengono sottoposti.
Cameron, interpretata dalla Moretz, è una figura che rappresenta una generazione di giovani costretti a confrontarsi con l’intolleranza della società e la rigida moralità delle proprie famiglie. La sua lotta per l’autodeterminazione è una battaglia emotiva ed esistenziale, che la spinge a sfidare il sistema e a rifiutare con orgoglio la “cura” proposta. La sua resistenza e il suo coraggio la portano a formare legami con altri ragazzi nel centro, creando un’alleanza di resistenza a un sistema oppressivo che cerca di ridurli alla conformità.
Il film evita il rischio di scivolare nella retorica melodrammatica o nell’eccessiva drammaticità, e, pur trattando temi estremamente forti e dolorosi, riesce a mantenere una narrazione sobria ma profondamente toccante. La diseducazione di Cameron Post è un’opera che non si ferma alla denuncia, ma invita lo spettatore a riflettere sulla sofferenza psicologica e sociale che queste pratiche causano, portando alla luce le conseguenze devastanti di un’omofobia strutturale che spesso viene ignorata o sottovalutata.
Alchorn, con una regia raffinata e attenta, ci regala un racconto di speranza e resilienza, centrando l’obiettivo senza mai scadere nell’eccesso emotivo. Il film, pur narrando una storia dolorosa, trasmette un messaggio di lotta per la propria identità e libertà, stimolando il pubblico a interrogarsi su temi sempre attuali, come l’intolleranza, la famiglia e l’autodeterminazione.
La pellicola è sicuramente una riflessione importante e commovente, che riesce a scuotere e a far riflettere in modo profondo. È un invito a non voltare lo sguardo quando si tratta di tematiche difficili e dolorose, a non ignorare le storie di chi è costretto a lottare per il diritto di essere se stesso, senza dover giustificare o nascondere la propria identità.
La diseducazione di Cameron Post, in uscita il 25 ottobre nelle sale italiane, è un film che merita di essere visto non solo per la sua forza narrativa e per la performance impeccabile di Chloe Grace Moretz, ma anche per la sua capacità di trattare un tema complesso con grande sensibilità e coraggio. Un’opera che arriva dritta al cuore e invita a non dimenticare mai l’importanza della libertà di essere sé stessi.
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Emanuela Giuliani
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