“La Dea Fortuna”, le onde della vita – l’Approfondimento
“Ho dato troppa importanza a questo amore. C’è una luna turchese diamante che ferirebbe qualunque cuore”.
Sole e Luna, due temi ricorrenti in questa pellicola di Ozpetek, nelle ambientazioni sul mare, nelle case e ultimo, ma non ultimo, nei personaggi, distanti come il giorno e la notte. Anche qui, come in “Saturno Contro” si parte da una festa, un idillio iniziale ed una coppia gay, Arturo ed Alessandro, due mondi opposti, uno tenebroso e l’altro solare e molto legato ai suoi amici, interpretati rispettivamente da Stefano Accorsi ed Edoardo Leo, che il regista turco ci mostra ammantati dal loro mondo privato, alle prese con le sorti della Dea Fortuna.
Uno è un borghese e l’altro un figlio del popolo, un “mancato professore” ed un idraulico dalla sensibilità esasperata, che vede i tubi guasti come organi di un corpo umano e Ferzan li inserisce in una dimensione corale di amici, un gruppo misto di donne ed omosessuali che ricorda il cinema di Almodovar, un universo festante e melanconico che resta sempre sullo sfondo creando una meravigliosa cornice alle scene collettive grazie al suo colorato e vivace microcosmo.
Il regista punta il focus sui due protagonisti e sull’evoluzione del loro rapporto, segnato da crepe evidenti che si aprono alla luce dopo 15 anni di convivenza ed “ordinari” tradimenti, in un viaggio verso la rottura degli schemi. Un film che straborda di vita e di un amore multiforme e circolare e nell’esplodere irrompe in questi personaggi e nelle loro esistenze apparentemente serene.
Un film intenso ed intimo, chiaroscurale e saturo nella messa in scena, tra un pezzo di strada e un pezzo di vita vissuta, quella di Ferzan stesso, che parte da una sua esperienza personale e la porta sullo schermo con una carica emotiva che da tempo mancava nelle sue pellicole. Sceglie come ambientazione un quartiere all’ombra della tangenziale, che a tratti ricorda nel disegno Istanbul, vissuto e denso di trasformazioni, un cuore pulsante come la sua amata Garbatella ed un’architettura aperta come teatro della storia, la Casa del Sole.
Il palazzo del Sole costruito tra il 1929 ed il 1930 da Innocenzo Sabbatini, occupa un lotto triangolare ed ha come segno distintivo un’architettura a terrazze digradanti verso sud, che ne costituiscono l’originalità e permettono la condivisione tra gli inquilini e l’illuminazione della piccola corte interna, motivo del nome dato a questo fabbricato, il quale sembra voler andare incontro all’astro per catturarne i raggi più potenti.
Una caratteristica costruttiva che appare nell’inquietante prologo, che parte da un’inquadratura stretta su di una porta antica, per catapultarsi, dopo un dedalo di saloni e corridoi, in una luminosa terrazza. Una commedia drammatica che arriva al cuore e parla della vita di tutti, in una commistione di generi diversi incentrata sulla buona sorte, che trova la sua allegoria nella figura di Annamaria, amica di Alessandro, interpretata da Jasmine Trinca per la prima volta in una pellicola del maestro.
Annamaria si inserisce in una situazione sclerotizzata e ne determina gli sviluppi successivi ricordando Monica Vitti nel gioco di movenze e di sguardi, occhi che sono il fulcro del cinema di Ozpetek. Il suo personaggio è un vettore ed attraverso di lei due concetti distanti come la trama e la sorte vengono a coincidere, ed è sempre lei a stravolgere le vite di Arturo ed Alessandro, portando il caos di una Fortuna intesa nel senso latino del termine, come un caso neutrale che sta a noi dirigere nel verso giusto, senza abbandonarsi ad azione e reazione.
Una Fortuna che Ozpetek mostra nel suo tempio a Palestrina, ancora un’architettura a terrazze digradanti ma dal sapore antico, un fil rouge vecchio come il mondo che ci costringe a vedere oltre, mirando lo sguardo ad una scelta ben precisa, di riscatto dei propri affetti e di lotta per ciò che si ama. Un fuoco dell’amore all’apparenza spento, ma nel pieno della sua mutazione, come le braci che brillano sotto la cenere in un rapporto che rinasce grazie al confronto con due bambini, i figli di Annamaria, che sono la vera tavolozza emotiva e vero motore propulsore degli eventi e riportano una frattura che sembrava insanabile ad una dimensione più sincera e coraggiosa. Esemplare la scena sul traghetto, quando Arturo devastato da una lite feroce con Alessandro, dilaga il suo dolore davanti a Martina e la bambina riesce a riportare il sereno con la sua visione pura e semplice ed il dolore si trasforma in amore e scorre, come la vita, senza mai fermarsi.
L’incredulità di fronte alla fine di una relazione e la condanna della mentalità borghese, incarnata da una Barbara Alberti volutamente forzata, con i suoi pregiudizi ed i limiti che impediscono di vedere le cose in modo libero e portare il cuore oltre l’ostacolo, in un percorso di conoscenza di se stessi e dell’altro, attraversati dalle parole di Ivano Fossati in “Luna Diamante” interpretata da Mina. Il cinema di Ozpetek è tornato, con la sua libertà intellettuale ed erotica ed i suoi personaggi, colorati, belli ed imperfetti e soprattutto vivi, nel ballo della vita, tra eros e thanatos.
“La vita è come un’eco: se non ti piace quello che ti rimanda, devi cambiare il messaggio che invii” – James Joyce –
Chiaretta Migliani Cavina
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