“Jumanji-The Next level”: la dilatazione temporale di un videogame – Approfondimento
“Un gioco che sa trasportar chi questo mondo vuol lasciar” è l’inizio di una saga, nata nel 1995 con una pellicola spettacolare, adrenalinica ed innovativa, che coniugava la sproporzione di un litigio tra padre e figlio con l’esagerata reazione ad ogni lancio di dadi di un vecchio gioco da tavolo, ed allargava la sua plancia al mondo intero. Un mondo che troviamo immutato nel secondo capitolo, ma adeguato al trascorrere del tempo e della tecnologia, teatro delle avventure di una console a cartucce anni 90. Un sequel che allora sembrava inimmaginabile, così legato a doppio filo ad un attore come Robin Williams, scomparso solo 3 anni prima, il quale aveva reso iconico ed ineguagliabile il lungometraggio.
E se “Jumanij: Benvenuti nella Giungla”, quinto posto negli incassi del 2017, pur rispettando il film originario era riuscito a crearsi una sua precisa identità, questo terzo sequel si lega ancora totalmente al precedente, non introducendo alcuna innovazione, e ripetendo una messa in scena consolidata senza alcuno sforzo.
Si continua infatti sempre a giocare con gli avatar e le personalità, con l’eccezione però di un’evoluzione tematica, più matura che mantiene la chiave della doppia lettura e della relazione tra le parti, dovuta all’entrata in scena di due nuove ma vecchie figure, vestite da Danny De Vito e Danny Glover, che si ritroveranno loro malgrado catapultati nel gioco, in un corpo giovane ed esplosivo, totalmente incapaci di utilizzarlo irrigiditi dall’età e dalle vicissitudini che ne hanno segnato l’elasticità dell’animo. Figure queste permetteranno di conseguenza a Jumanji di attraversare due diverse generazioni.
Nel film infatti il tempo è trascorso e ritroviamo i ragazzi cresciuti, ma sempre in contatto l’uno con l’altro. Tutti stanno realizzando i propri obiettivi e sono felici. Tutti tranne Spencer, il quale trasferitosi a New York, sta affrontando un periodo difficile, chiuso in sè stesso, senza alcuna compagnia, se non quella del nonno, interpretato appunto da Danny De Vito.
Ed è proprio in un momento di solitudine che Spencer deciderà di recuperare Jumanji, e desideroso di rivivere quella bella avventura che lo aveva fatto sentire forte rientra nel videogioco, spingendo non solo i suoi amici storici a parteciparvi, al fine di salvarlo, ma coinvolgendo involontariamente anche il nonno ed il suo vecchio socio in affari Milo.
Qualcosa però va storto, ed una volta nella giungla, i protagonisti si renderanno conto di non essere più nel corpo dei precedenti avatar. Un cambiamento che andrà in qualche modo a scontrarsi proprio con la diversa generazione di appartenenza, e che tra rocamboleschi inseguimenti nel deserto e struzzi cattivi, ne evidenzierà la mancanza di originalità, carente soprattutto nella struttura della trama e nei dialoghi banali ed ancorati ad un fil rouge primordiale, “devo smetterla di frequentare i bianchi, mi sono bevuta il cervello”, nonché dai numerosi buchi di una sceneggiatura dal ritmo altalenante, e dai siparietti comici fini a se stessi e ripetitivi.
Le scene d’azione compensano in parte uno scheletro narrativo scarno, ed anche se l’ambientazione si estende andando dalla semplice giungla ad aridi deserti e impenetrabili ghiacciai, l’impressione che emerge è quella di un caos generato dall’assenza di idee, che si affida con sicurezza ancora alla squadra composta Dwayne “The Rock” Johnson, Kevin Hart, Jack Black e la bella Karen Gillian, a cui si aggiunge Awkwafina e un cavallo nero. Tuttavia l’assenza di magia che permetteva all’immaginazione di volare relega “Jumanji: The Next Level” ad un intrattenimento per famiglie senza impegno.
“Si può scoprire di più su una persona in un’ora di gioco che in un anno di conversazione.” – Platone –
Chiaretta Migliani Cavina
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