“Jojo Rabbit”, il potere dell’amore di cambiare la visione della vita – Approfondimento
“Lascia che tutto ti accada: bellezza e terrore. Si deve sempre andare: nessun sentire è mai troppo lontano…” – Rainer Maria Rilke –
Approderà nelle sale cinematografiche italiane il prossimo 16 gennaio, il tanto apprezzato, quanto criticato, “Jojo Rabbit”, particolare satira sulla Seconda Guerra Mondiale dell’eccentrico regista neozelandese Taika Waititi.
Basato sull’acclamato romanzo di Christine Leunens, “Come semi d’Autunno”, pubblicato per la prima volta nel 2004, “Jojo Rabbit” prende il via nell’immaginaria Falkenheim, pittoresca cittadina dominata dai nazisti, e nonostante la fine del conflitto si stia rapidamente avvicinando, il piccolo Jojo Betzler, di 10 anni, nella sua cameretta si prepara a realizzare il suo sogno, ossia unirsi al Jungvolk, la Gioventù Hitleriana. Per il sensibile e credulone Jojo, infatti, questa sembra essere l’unica e vera occasione per fare qualcosa di grande e importante, per proteggere la madre single che ama più di ogni altra cosa, il cui volto è della candidata agli Oscar Scarlett Johasson, e, forse, provare finalmente un senso di appartenenza.
Al fianco di Jojo, al fine di compensare le insicurezze, uno sproporzionato amico immaginario: una versione clownesca e strampalata di Hitler, il quale seguendo il flusso emotivo tipico di un bambino, dispensa i consigli che Jojo avrebbe desiderato ricevere dal padre assente. Con Adolf in testa, Jojo si sente invincibile, ma quello che per lui sembra essere l’inizio di un sogno, in realtà sarà solo il principio dei suoi problemi.
Umiliato, e quasi decapitato, nel campo del Jungvolk, a causa di una sua decisione ed azione avventata con lo scopo di dimostrare la propria intraprendenza ai compagni e al capitano Kenzendorf, Sam Rockwell, la sua frustrazione aumenterà fino ad esplodere, ed a con una sconcertante scoperta lentamente, ma radicalmente, cambierà la sua visione del mondo.
Inseguendo quello che crede essere una specie di fantasma infatti, Jojo scoprirà invece che sua madre tiene nascosta una ragazza ebrea, con enormi rischi per tutti quanti. Lo shock lo lascerà basito fino ad annullarlo, poiché quel tanto decantato “pericolo” di cui era stato avvertito, ora si trova in casa sua, sotto il suo naso, a pochi metri da dove ha l’abitudine di confidarsi con il suo illusorio amico Hitler.
Così mentre cerca di tenere d’occhio la misteriosa Elsa, la sua paura e la sua attenzione si trasformano in qualcosa che nemmeno Adolf riesce a capire e controllare, dal momento che l’inaspettato legame, non solo metterà in discussione i suoi pensieri e teorie nazionaliste frutto di un subdolo e diabolico lavaggio del cervello collettivo, bensì lo porrà di fronte alla cruda e nuda e realtà, saldamente fondata su una serie di irrazionali menzogne e assurdità, che tutto il mondo conosce fin troppo bene. Opinioni forvianti relative sulla supremazia e perfezione costruite ad arte ed assorbite dal piccolo.
Una visione grottescamente nera e divertente dall’acuto turbamento e profonda commozione, quella che Waititi, interprete al quanto umoristico del Fuhrer, porta sul grande schermo e che con lo svilupparsi degli eventi, rivelerà il proprio vero essere.
Una società preda di stupidi pregiudizi e della brutale intolleranza, attraverso cui ci si emoziona, si ride a denti stretti facendo amaramente riflettere ancora una volta.
Taika Waititi, amato o odiato, riesce nel bene e male a far sua una storia che ha segnato per sempre le esistenze e le coscienze di tutti. Sempre in equilibrio sul filo della comicità, mescolando la furia della sua satira con un persistente senso di fiducia nella possibilità che fanatismo e odio vengano messi da parte.
Il film segue in modo evidente le tracce di alcuni dei suoi eroi cinematografici quali: Mel Brooks, Charlie Chaplin, Ernst Lubitsch e Stanley Kubrick, solo per citarne alcuni. In particolare Waititi fa eco a Brooks, attore ebreo che sovverte il potere persistente dell’immagine di Hitler con un ritratto stravagante e ridicolizzato, e come disse una volta “Se riesci a ridurre Hitler a qualcosa di ridicolo, hai vinto.”
Sullo schermo i nazisti sono stati oggetto di parodia già negli anni ’40, quando erano ancora una minaccia globale, con il motivo ricorrente dell’ultima risata sempre riservata a loro. Spesso ha scatenato polemiche. Si dice che il padre del comico ebreo Jack Benny sia uscito dal cinema sconvolto dall’interpretazione di suo figlio nei panni di un ufficiale della Gestapo in “Essere o non Essere”. Ma il film ha anche commosso generazioni e oggi è considerato un esempio magistrale di come la satira più ferocemente irriverente possa diventare un trampolino di lancio per una narrazione poliedrica e dal taglio umano.
Ma tanto quanto il film è in debito con i suoi audaci precursori, così “Jojo Rabbit” richiama molti aspetti dei nostri tempi, con i suoi personaggi profondamente umani, le cui cieche manie possono anche divertire, ma i cui dissidi interiori sono tremendamente reali ed evidentemente attuali.
E se per un verso “Jojo Rabbit” è un’allegoria comica sul prezzo del predominio del fanatismo, non importa se in camera da letto o in una nazione, quello di Jojo è anche il viaggio molto realistico di un bambino che diventa grande. Perché trovando il coraggio di aprire la mente, scopre come l’amore abbia il potere di cambiare il suo percorso.
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