Patrick Wilson in Insidious la porta rossa

Insidious: La porta rossa, recensione del film diretto e interpretato da Patrick Wilson

La recensione di Insidious: La porta rossa, il capitolo finale della saga diretto e interpretato da Patrick Wilson nelle sale italiane dal 5 luglio

James Wan è una figura autoriale che si scinde fra la casa di produzione Blumhouse e la New Line Cinema, per cui ha diretto e ideato i capitoli di The Conjuring, da almeno dieci anni. Prima del Warrenverse, l’universo cinematografico che segue i casi paranormali che i coniugi Ed e Lorraine Warren sono chiamati ad affrontare, c’è stato però Insidious. A distanza di 13 anni dal primo capitolo, James Wan e lo sceneggiatore Leigh Whannel pongono (forse) la parola fine a un franchise meno fortunato di The Conjuring, ma non per questo meno interessante e riuscito. Accogliendo dopo due capitoli prequel il ritorno ai suoi protagonisti originari, Insidious: La porta rossa è nelle sale italiane dal 5 luglio.

Insidious: La porta rossa, la trama

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Dieci anni sono trascorsi dagli eventi narrati in Oltre i confini del male: Insidious 2, e oggi Josh (Patrick Wilson) e suo figlio Dalton (Ty Simpkins), che è nella sua età da college, hanno scelto di ricorrere all’ipnosi per dimenticare le loro capacità extrasensoriali, i viaggi astrali, le dimensioni altre e gli incubi che da esse sono stati per loro generati. Eppure Dalton viene chiamato a fare ritorno nel nascosto “Altrove” più a fondo di quanto non abbia mai fatto prima e dovrà affrontare ancora una volta i demoni dietro la Porta Rossa, ma soprattutto l’oscuro passato della sua famiglia.

Insidious, e l’horror dei padri e dei figli

Si contano sulle dita di una mano le occasioni in cui l’horror ha posto in conflitto con i propri spettri personali i suoi protagonisti maschili, scegliendo di rivolgere la sua attenzione al sesso che solitamente è deputato al ruolo di carnefice e non di vittima, di persecutore e non di parte lesa. Se guardiamo al cinema di James Wan è chiaro che la scelta dell’autore e regista sia sempre stata quella di seguire una rotta già tracciata ma con un linguaggio nuovo, traendo la massima ispirazione da una fitta e lunga tradizione cinematografica gotica (quella dell’haunted movie) per intrattenere lo spettatore moderno mediante soluzioni visive e climatiche ingegnose che caratterizzano tanto l’intero film quando la singola scena.

Drammi maschili, dicevamo, perché l’horror di Wan è plasmato da uno sguardo che riconosce nelle donne la statura di eroine (è il caso di Lorraine Warren che, al netto della discutibile controparte reale, nel Warrenverse si trasfigura nella principale attante della lotta del bene contro il male, giungendo persino a dover salvare suo marito) mentre esplora le fratture che si squarciano nel cuore dei “mancati eroi” sotto la pressione incombente di demoni che minano l’equilibrio famigliare e il suo quieto vivere.

Non è un caso che Insidious somigli così tanto allo Shining di Stephen King, o anche quello di Kubrick se si prende in considerazione lo scheletro della narrazione, pur cambiandone lo stile, la visione, l’ordine e la disposizione dei fattori. Al centro si ritrovano figli e padri, il cui rapporto viene scandagliato proprio in occasione della messa in crisi attuata dall’introduzione di un elemento estraneo e pericoloso: sono i soliti racconti di viaggi psichici, mentali (immaginati oppure concreti), che devono necessariamente condurre verso una risoluzione da cui gli uomini della famiglia usciranno totalmente distrutti (Shining, appunto) oppure fortificati, come in Insidious.

Un gradevole ritorno al presente, con Patrick Wilson alla regia

patric wilson in insidious la porta rossa

Insidious: La porta rossa retrocede dunque “al presente”, dopo ben due incursioni in una dimensione temporale che ci ha permesso d’indagare il passato attraverso le prospettive (alcune delle quali interessanti, come quella del terzo capitolo) di diversi protagonisti e protagoniste. È una decisione in linea con la tendenze dell’epoca contemporanea, che soprattutto nel cinema mainstream e blockbuster punta l’occhio alle glorie che furono per alimentare un senso di nostalgia: qui il passato, inerente alla piccola ma importante mitologia di Wan, ha una funzione più pragmatica e serve all’ideazione di un intreccio che riaccompagni il pubblico di Insidious al centro pulsante della sua anima fatta di questioni famigliari e sfide alle responsabilità e genitoriali, come pure accade negli ultimi The Conjuring.

Il risultato è un film che non supera in invenzioni il primo (imperfetto) capitolo, ma che senza dubbio fortifica, grazie alla buona regia di Patrick Wilson (che prende il timone di Wan e dei suoi seguaci, oltre a vestire meglio che mai i panni del suo storico personaggio), il senso del terrore con l’ausilio di jump-scare centellinati e sapientemente costruiti, e il gusto per le suggestioni derivanti dall’immaginario di un filone, quello della casa infestata, che rischiava di andare perduto ed essere dimenticato fra le pagine impolverate dei racconti di Poe, prima ancora dei capisaldi cinematografici che ne hanno stabilito le regole sul grande schermo.

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Federica Cremonini

Il Voto della Redazione:

6


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