“Il Nostro Generale” – Incontro Stampa
A 40 anni dalla strage di via Carini (3 settembre 1982) Rai Fiction presenta “Il Nostro Generale”, serie tv in quattro episodi che racconta la storia del nucleo speciale antiterrorismo del generale Carlo Alberto dalla Chiesa per contrastare l’attività delle Brigate Rosse.
“Carlo Alberto dalla Chiesa è stato un grande uomo, ha attraversato uno dei momenti più complicati e bui del paese, attraversato dal terrorismo” – spiega la direttrice di Rai Fiction, Maria Pia Ammirati. “Una biografia su un personaggio a tutto tondo, perché in questo caso la biografia, la vita privata, non si scinde da quella storica, dal modo d’interpretare il proprio ruolo e la propria vita. Un eroe civile antepone alla propria vita il bene del paese e la salvezza degli italiani. Noi dobbiamo continuare a ricordare in maniera giusta quel che è stata la nostra storia recente. Quella di Carlo Alberto dalla Chiesa è la storia di un personaggio molto complesso inserito in un momento molto complesso: che cosa significa calarsi nei panni di un personaggio così importante e difficile, così complesso, che dedica la sua vita agli altri e che tragicamente scompare? Se ne può proporre una mimesi, che però non funziona. Come attore puoi scegliere di essere aderente, e questo in parte funziona: la verità è che Sergio (Castellitto) è entrato dentro il personaggio di Carlo Alberto dalla Chuesa cercando di capire i principi che muovevano quell’uomo, che erano principi di autorevolezza, generosità e soprattutto coraggio. A lui dobbiamo un’eccellente interpretazione, fedele ma anche propria, perché al di là della fedeltà per aderire al personaggio c’è la necessità d’interpretarlo. Sergio lo ha fatto.”
La storia de “Il Nostro Generale” contrappone l’operato di Carlo Alberto dalla Chiesa e dei suoi giovani ragazzi, scelti per essere addestrati con metodi investigativi innovativi, e i ragazzi delle Brigate Rosse, che tentavano di sovvertire lo Stato democratico attraverso omicidi e attentati.
“Siamo partiti più di tre anni fa e poi, via via, si sono aggiunte tutte le persone che hanno composto la troupe, dall’ultimo dei macchinisti agli attori, per finire a Sergio Castellitto” – afferma la produttrice Simona Ercolani. “Si trattava di un centinaio di persone che hanno realizzato tutto ciò durante la terza ondata della pandemia. Abbiamo girato un anno fa, nel periodo natalizio, ed è stato come essere su una giostra. E lo abbiamo fatto con gran spirito di squadra, perché la storia che stavamo raccontando è una storia importante che non è mai stata raccontata. E ci sarebbe anche da chiedersi perché non è mai stata raccontata. I personaggi di cui abbiamo raccontato erano ragazzi, come i ragazzi delle Brigate Rosse; ragazzi che si sono ritrovati a rinunciare alla propria identità, a vivere nel costante pericolo, ad affrontare una vera e propria “guerra”. Quando è successo io ero solo una ragazzina, e rivederli da questo punto di vista è stata un’esperienza intensa. Lo spirito di squadra trovato sul set è stato dato anche dalla storia e dallo stesso spirito di squadra che stavamo raccontando nella nostra storia. Il contributo dell’Arma dei Carabinieri è stato fondamentale: abbiamo girato da Roma a Palermo, anche a Torino, e loro ci hanno accolto come parte della loro famiglia.”
“La grossa difficoltà è stata rendere semplice la difficoltà” – dichiara Monica Zapelli, sceneggiatrice della serie. “Avevamo la necessità di una drammaturgia che coinvolgesse, semplificasse l’umanità. Carlo Alberto dalla Chiesa è stato in grado di dare alla lotta al terrorismo l’elemento della modernità attraverso strumenti tecnologici, come l’uso del computer. Soprattutto dava fiducia ai ragazzi del nucleo, e così facendo aveva affidato a quei ragazzi il senso di responsabilità.”
“Ciò che i nostri ragazzi studiano nell’ultima pagina nei libri di storia credo sia la Seconda Guerra Mondiale” – aggiunge Sergio Castellitto, protagonista nei panni del personaggio di Carlo Alberto dalla Chiesa. “Io credo che le vicende, la storia, il processo di storicizzazione della vita di questi uomini sia impossibile, perché l’inchiesta è ancora aperta. Noi attraverso questo film-fiction non abbiamo archiviato questi fatti proponendone un’analisi fredda, distaccata e scientifica, perché il dolore è ancora vivo e la carne è viva: io ero un trentenne che frequentava l’accademia d’arte drammatica. Mentre i ragazzi dell’accademia venivano salvati da Checov e Shakespeare, c’era un uomo che aveva vissuto tutta la vita con l’uniforme da soldato, da militare, da carabiniere, pur essendo uomo di pace. Un uomo che ha fatto tutto quel che ha fatto perché legato da sentimenti che ci appaiono retorici oggi: ma, per citare il mio personaggio, “certe cose si fanno per guardare in faccia il futuro” e non il presente, i nostri figli e non noi stessi. Si fanno perché la mia esistenza abbia un senso anche dopo di me. Questo è un elemento intimo formidabile.”
“Mi ha aiutato chiacchierare con Rita dalla Chiesa nella costruzione del mio personaggio” – svela Teresa Saponangelo – “che mi ha raccontato scene quotidiane tra figli e madre che mi hanno aiutata. Dora è ricordata meno nella storia del generale, eppure ha vissuto anni accanto a un uomo dalla grandissima funzione istituzionale. Per me non è una donna che si trova due passi indietro rispetto a lui, perché è sullo stesso piano: non aveva la stessa funzione istituzionale, ma aveva la funzione di mantenere unita la famiglia per aiutare i figlii. Questa donna, da laureata, univa due caratteristiche: quella conservatrice del marito e quella progressista dei propri figli. In questo è stata una grande donna. Era una donna dei tempi, e io ho cercato di costruire Dora nella gestualità contenuta e non espansiva, ma al tempo stesso in ascolto dei tempi: lei realizza che i tempi cambiano, e per questo avvisa suo marito del fatto che il cambiamento in atto prima o poi arriverà anche in caserma.”
Antonio Folletto interpreta la voce narrante nella fiction. “Sono stati tanti i momenti belli che ricordo della lavorazione. Il più importante dopo la lettura della sceneggiatura è stato conoscere i ragazzi del nucleo. Ci tengono molto a essere nominati, in quanto dimenticati. Ci hanno fatto da guida, dandoci la possibilità di entrare nella loro psicologia. Quando parlavano del generale i loro occhi brillavano. Sono stati eroi ragazzi che hanno difeso la democrazia.”
Infine Rita dalla Chiesa e Nando dalla Chiesa ricordano Carlo Alberto e Dora nel privato. “Mia madre incamerava tutto ciò che mio padre le raccontava, senza dire nulla a noi figli.” afferma Rita dalla Chiesa. “Ed è stata una donna che ha costruito attorno a sé il proprio mondo di sicurezze con suo marito e i suoi figli. Di papà ricordo la lealtà e il rispetto a cui ci ha abituati nei confronti di chiunque, la trasparenza delle sue azioni, l’amore per i suoi ragazzi del nucleo.”
“Mio padre è stato un uomo delle istituzioni, rappresentate nel modo più pieno e fedele” – racconta Nando dalla Chiesa. “Mi ha insegnato cosa siano le istituzioni. Mi ha insegnato la Costituzione non leggendomi un articolo, bensì con i fatti, con le scelte compiute, con il coraggio. Quando per esempio si dava una notizia sbagliata su di lui, non diceva nulla. “Ci sono cose che si fanno per guardare in faccia i propri figli” era una frase da padre a figlio che mi disse quando gli chiesi perché volesse ancora andare a Palermo, senza l’appoggio sperato dei partiti. C’è una vita privata che non emerge ma può essere letta solo come la culla di quella pubblica, o il suo riflesso più profondo. Attraverso i pochi secondi che ho visto di questa fiction ho capito che non devo temere ciò che si dice dei propri cari.”
“Il Nostro Generale” – In onda da lunedì 9 gennaio su Rai 1 – è diretta da Lucio Pellegrini e Andrea Jubline, e scritta da Monica Zapelli e Peppe Fiore.
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Federica Cremonini