Michael Clark Duncan e Tom Hanks ne Il Miglio Verde

Il Miglio Verde, curiosità: il film che ha commesso il reato di rimanere nel cuore del pubblico

5 curiosità su Il Miglio Verde, il film prodotto, scritto e diretto da Frank Dorabont con Tom Hanks e Michael Clarke Duncan.

Uscito nelle sale statunitensi il 10 dicembre 1999 e in quelle italiane il 10 marzo 2000, Il Miglio Verde (The Green Mile) è un film che ha segnato un’epoca. Scritto e diretto da Frank Darabont, e basato sull’omonimo romanzo di Stephen King, pubblicato nel 1996, il film, con un budget di 60 milioni di dollari, fu un grande successo commerciale, incassando ben 286,8 milioni di dollari a livello globale, di cui 137 milioni solo negli Stati Uniti e oltre 150 milioni nel resto del mondo.

Ma oltre ai numeri da record, ciò che rende Il Miglio Verde un’opera indimenticabile è la sua straordinaria umanità: una storia di dolore e redenzione, giustizia e ingiustizia, morte e miracolo. Il racconto si sviluppa attraverso la memoria di Paul Edgecombe, interpretato da un intenso Tom Hanks, ex guardia penitenziaria ormai anziana che, dalla tranquillità di una casa di riposo, rievoca il periodo in cui lavorava nel braccio della morte di un penitenziario della Louisiana, lì incontrò John Coffey, un uomo afroamericano di straordinaria sensibilità e misteriosi poteri curativi, condannato alla sedia elettrica per un crimine che non aveva commesso.

Candidato a quattro premi Oscar e a un Golden Globe, Il Miglio Verde, diventato nel tempo un classico moderno, è molto più di un film carcerario: è un’opera profondamente umana, che ci invita a riflettere sul concetto di giustizia, sull’empatia, sulla fragilità e sulla grandezza dell’essere umano. Attraverso una narrazione intensa e un cast memorabile, riesce a unire commozione e tensione, realismo e soprannaturale, lasciando un segno profondo nello spettatore.

Ma dietro la sua produzione ci sono numerosi retroscena interessanti, scopriamo insieme 5 curiosità su uno dei film più amati di sempre.

Michael Clark Duncan - Think Movies

1. Un romanzo “a puntate” firmato Stephen King

A differenza di altre opere dello scrittore del Maine, The Green Mile fu inizialmente pubblicato in un formato seriale, suddiviso in sei volumi brevi tra marzo e agosto del 1996. Questa scelta, voluta dallo stesso King, fu un omaggio ai vecchi romanzi d’appendice dell’Ottocento, e contribuì a creare grande attesa tra i lettori. Frank Darabont, che aveva già diretto con successo Le ali della libertà (altro adattamento da King), affrontò la non facile sfida di unificare la narrazione in un’unica sceneggiatura, mantenendo intatto il pathos e la densità emotiva della storia. Il titolo si riferisce al pavimento verdastro – color verde cedro – che componeva il corridoio che i condannati a morte percorrevano verso la stanza dell’esecuzione. Per loro, quello era il “miglio finale”, destinato a non essere più percorso al ritorno.

2. Riprese autentiche e scenografie potenti

Gran parte del film fu girata in un teatro di posa a Hollywood, dove fu meticolosamente ricostruito il braccio della morte. Ma per conferire al film maggiore realismo, alcune scene furono girate nel Tennessee State Prison, un vero penitenziario in disuso nei pressi di Nashville, celebre per essere stato uno dei più duri degli Stati Uniti. Questa ambientazione conferì un’autenticità palpabile alla narrazione. I corridoi lugubri, le celle strette, le pareti imbrunite dal tempo: ogni dettaglio aiutava gli spettatori a percepire il senso di oppressione, solitudine e irrevocabilità del destino dei detenuti condannati alla pena capitale.

3. Un cast perfettamente scelto (ma non senza ripensamenti)

Michael Clarke Duncan, morto prematuramente nel 2012 a 54 anni, fu la rivelazione del film. Ottenne la parte di John Coffey grazie all’intercessione di Bruce Willis, suo collega in Armageddon, che lo segnalò personalmente a Darabont: “Ho trovato il tuo Coffey”, gli disse. Duncan non solo impressionò per la sua stazza fisica – sebbene non raggiungesse davvero i due metri, come Coffey nel libro – ma soprattutto per la dolcezza e l’intensità emotiva che seppe trasmettere al personaggio. Il nome “John Coffey”, spesso associato (erroneamente) a “Jesus Christ” per le sue iniziali e il suo ruolo da “salvatore“, fu invece ispirato da un professore che King aveva conosciuto durante il suo periodo all’Emerson College di Boston.

Il ruolo di Paul Edgecombe fu inizialmente offerto a John Travolta, che lo rifiutò. A vestire i panni dell’inflessibile ma umano secondino fu così Tom Hanks, perfetto per la parte. Per la versione anziana del personaggio fu scelto Dabbs Greer, attore veterano del cinema e della televisione, noto per il ruolo del reverendo in La casa nella prateria.

Un altro cambio di casting importante riguardò il personaggio di “Wild Bill” Wharton, lo psicopatico detenuto interpretato magistralmente da Sam Rockwell, inizialmente, il ruolo era stato pensato per Josh Brolin.

4. Mr. Jingles: un topolino, trenta attori

Uno degli elementi più toccanti del film è la presenza di Mr. Jingles, il topolino domestico che diventa simbolo di affetto, speranza e rinascita. Per interpretarlo furono usati 30 topi addestrati, ciascuno specializzato in azioni specifiche (correre, stare fermo, saltare, entrare in una scatola, ecc.). Gli addestratori utilizzavano piccoli trucchi, come una ciotola rossa piena di cibo, per orientarne i movimenti. Le scene più complesse, come quella in cui il topolino viene calpestato e poi riportato in vita da Coffey, furono realizzate in parte con effetti digitali. Tuttavia, durante le riprese, uno dei topolini sorprese tutti: mentre era nel palmo di Tom Hanks, si sollevò sulle zampette posteriori in modo naturale e spontaneo, dando un tocco di magia e autenticità alla scena. Nessun animale fu maltrattato durante la lavorazione del film, come garantito dalla supervisione dell’American Humane Association.

5. Differenze col romanzo e anacronismi cinematografici

Come spesso accade nei passaggi dalla carta allo schermo, anche Il Miglio Verde presenta alcune differenze narrative rispetto al romanzo: nel libro la storia è ambientata nel 1932, mentre nel film si svolge nel 1935; il personaggio di Brad Dolan, un inserviente della casa di riposo che tormenta Paul Edgecombe anziano, è presente nel libro ma assente nel film; Burt Hammersmith, il personaggio con cui Paul si confronta per discutere dell’innocenza di Coffey, è un giornalista nel romanzo, mentre nel film viene trasformato in avvocato difensore, infine nel libro, Paul racconta come ha scoperto l’innocenza di John Coffey, mentre nel film questa parte viene omessa: il pubblico è lasciato a intuire la verità attraverso i gesti e le emozioni.

Nonostante la grande accuratezza storica, alcuni dettagli non corrispondono all’epoca. Ad esempio all’interno del carcere si vede un orologio al quarzo, tecnologia che fu introdotta solo negli anni ’60. La sedia elettrica inoltre, nel film già in uso negli anni ‘30 in Louisiana, fu invece introdotta in quello Stato solo nel 1941.

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Emanuela Giuliani


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