La recensione de Il Colore Viola di Blitz Bazawule, il nuovo adattamento musicale nei cinema dall’8 febbraio con Warner Bros. Pictures.
L’annuncio della nuova rivisitazione in chiave musicale del classico romanzo de Il Colore Viola del 1982, scritto da Alice Walker, premiata con il Pulizer, aveva suscitato molta curiosità e scetticismo. Dubbi legati soprattutto alla capacità di saper a ricreare e trasmettere le profonde emozioni del celebre spettacolo di Brodway, nominato ben 11 volte ai Tony Award nel 2006 e vincitore di due nel 2016, e dell’indimenticabile adattamento del 1985 di Steven Spielberg.
Rifacimento quest’ultimo, con il quale l’attesa trasposizione, nelle sale cinematografiche dall’8 febbraio con Warner Bros. Pictures, sarà suo malgrado da molti messa a confronto, pur distaccandosi completamente essendo un musical e avendo tratto di conseguenza ispirazione, come più volte sottolineato, per l’appunto dallo spettacolo di Brodway di Marsha Norman.
Un paragone tuttavia, che se da un lato non riguarda quindi la costruzione e lo sviluppo della messa in scena, dall’altra tocca invece, almeno in parte l’interpretazione dei protagonisti e l’intensità data da questi ai rispettivi personaggi, non si può infatti non nominare la straordinaria Whoopi Goldberg, premiata con un Golden Globe proprio per la potente performance, e nominata dagli Academy assieme a Margaret Avery e una giovane Oprah Winfrey.
Il Colore Viola, la storia
Siamo negli Stati Uniti del 1909, in Georgia, e le due sorelle adolescenti afroamericane Celie e Nettie Harris vivono in un contesto sociale e familiare dove sono gli uomini a decidere e comandare con la violenza. Orfane di madre, le due ragazze vivono con il padre, che si rivelerà essere il patrigno e violenta ripetutamente Celie.
Abusi da cui nasceranno due bambini, un maschietto e una femminuccia, e che l’uomo toglierà a Celie subito dopo il parto per darli adozione, per poi darla in sposa ad Albert Johnson detto Mister, il quale continuerà a perpetrare su di lei le medesime violenze indicibili del patrigno. L’unica fonte d’amore e conforto nella vita di Celie sarà sua sorella Nettie, la quale per sfuggire alle violenze del patrigno si rifugerà in casa della sorella e del cognato, che dopo aver tentato insidiarla e essere stato rifiutato la caccierà via.
Le due sorelle promettono di scriversi per non perdersi, ma le lettere intercettate da Albert non giungeranno mai a Celie, e come se non bastasse, la donna dovrà accogliere in casa l’amante del marito, la cantante blues Shug Avery, la cui presenza dissuaderà però l’uomo dal picchiarla.
Celie legherà Shug, che dopo varie vicissitudini intercetterà una delle lettere di Nettie, diventata missionaria in Africa presso la famiglia che aveva adottato i suoi nipoti, ovvero gli orfani di Celie, che un impeto di ribellione maledice il marito e grazie al sostegno di Shug e Sofia, una donna tutt’altro che assoggettabile spossata con uno dei figli di Albert, va via decisa a riprendersi la vita e la dignità che le era stata brutalmente negata.
Il Colore Viola, tre donne, tre viaggi un’unica meta
Scritto dal drammaturgo Marcus Gardley, vincitore del WGA Award per Maid, e diretto da Blitz Bazawule, produttore con Oprah Winfrey, Quincy Jones e Scott Sanders, questa versione de Il Colore Viola, si distacca come spiegato dal lungometraggio dell’85, dando vita a una rappresentazione cinematografica in perfetto stile Brodway, con un propria definita personalità e visione.
Un adattamento, coraggioso e audace, considerando le difficoltà nel riuscire ad evitare i confronti sopracitati, curata e studiata nei minimi dettagli. Dalle coreografie di Fatima Robinson alle musiche del nominato all’Oscar Kris Browers, le scenografie del premio Oscar Paul Denham Austerberry e i costumi di Francine Jamison-Tanchuck, elementi che si fondono armoniosamente catturando l’attenzione in un caleidoscopio di colori, emozioni, lacrime e sorrisi di liberazione.
Un ritratto con alla base le stesse tematiche quali la violenza domestica, gli abusi sessuali, l’incesto, il razzismo e il coraggio, ma con una differente, ma non per questo meno forte e intensa commozione, e che ad alcuni potrebbe non graffiare immediatamente l’anima. Una percezione dei sentimenti del dramma alleggerita, se così si può dire, dall’elemento della musica che non sminuisce in ogni caso la forza degli argomenti, che non si può negare siano ancora purtroppo prepotentemente attuali.
Bazawule centra quindi l’obiettivo del musical, cosa ovviamente che renderà felici non solo gli amanti del genere, bensì coloro che non vedono l’ora di immergersi e provare una tale esperienza con una storia di cui hanno sentito parlare. Una narrazione dall’impatto fresco e moderno pronta a farsi conoscere anche alle nuove generazioni del cinema che apprezzeranno sicuramente la vivacità del ritmo, e rifletteranno sugli argomenti trattati.
Unica debolezza, il calo emotivo dei momenti cruciali causato purtroppo proprio dalla componente canora che spezza i dialoghi e la connessione empatica con i personaggi, le cui rispettive interpreti non hanno assolutamente fatto rimpiangere per intensità le performance del rifacimento di Spielberg. Fantasia Barrino volto di Celie da adulta, al suo debutto in un lungometraggio, la candidata all’Oscar di Taraji P. Henson di Shug Avery, e la dirompente Danielle Brooks in Sofia, hanno incarnato perfettamente la personalità e il viaggio di tre donne dalla medesima voglia di riscatto, rispetto, emancipazione, libertà e ricerca di se stesse, perché questo è Il Colore Viola.
© Riproduzione Riservata
Emanuela Giuliani
Il Voto della Redazione: