In concorso all’81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia: Iddu con Toni Servillo ed Elio Germano.
Toni Servillo ed Elio Germano sono i protagonisti di Iddu, il film diretto da Fabio Grassadonia e Antonio Piazza presentato in Concorso a questa 81esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Una commedia drammatica e amara, che racconta la latitanza dell’ultimo boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro attraverso i suoi criptici pizzini, offrendo così un ritratto impietoso di un Italia che purtroppo non è mai cambiata e mai cambierà. Una visione su una delle ombre più nere dell’Italia, di cui non si conosce assolutamente nulla se non le poche informazioni diffuse dalla televisione che però non convince affatto.
Iddu, la sinossi
Nella Sicilia dei primi anni 2000, dopo aver passato 6 anni nel carcere di Cuneo per essere stato uno dei tanti prestanome della mafia, Catello Palumbo, un patetico politico di lungo corso, interpretato da Toni Servillo, è finalmente libero. Ovviamente ha perso tutto e tornato a casa si trova di fronte una situazione alquanto confusa; i vecchi patti infatti sono oramai andati, e il team Servizi Segreti italiani, capitanato dal Colonnello Emilio Schiavon (Fausto Russo Alesi) e l’ispettrice Rita Mancuso (Daniela Marra), gli chiedono di collaborare per catturare il suo figlioccio Matteo, ultimo grande latitante di mafia in circolazione dal volto Elio Germano, terzo genito e successore di uno dei più importanti capi della vecchia Cosa Nostra, da poco morto.
Catello accetta con la speranza di rimettersi in gioco e tentando di approfittare del vuoto emotivo del latitante inizia a un improbabile scambio epistolare con lui, il quale ben nascosto a casa della moglie (Barbora Bobulova) di una delle sue vittime, continua a portare avanti i suoi piani, inviando ordini tramite i pizzini che la sorella Stefania (Antonia Truppo) fa girare per tutta la Sicilia. Un azzardo questo che con uno dei criminali più ricercati al mondo comporterà un certo rischio.
“Lo studio di Matteo Messina Denaro è cominciato diversi anni fa è si è trattato di uno studio lungo e complicato dal momento che questa figura è stata a lungo sottovalutata, così come la sua portata e importanza criminale”, dichiara Fabio Grassadonia, dietro la macchina da presa assieme ad Antonio Piazza. “I dati certi non erano tantissimi, c’erano alcune sentenze, atti giudiziari e un bel po’ di pizzini. Abbiamo cominciato a leggere quelli ai quali c’era stato concesso di accedere, e ci siamo imbattuti in un carteggio tra Matteo Messina Denaro e un ex sindaco di Castel Vetrano, il suo paese di origine. Un carteggio che si era sviluppato dal 2004 al 2006 e messo in piedi dai servizi segreti con l’obiettivo di ritrovare le tracce che si erano perse e provare a catturarlo”, spiega il regista. “Il carteggio si articola in una decina di lettere molto interessante in cui Matteo Messina Denaro, al di la delle poche righe in cui affrontava ovviamente gli affari di cui una persona come lui poteva occuparsi, si dilungava molto su se stesso e su un certo tipo di riflessione esistenziale, da cui poco per volta emergeva il ritratto psicologico di questo strano narciso infantile. Era molto interessante inoltre anche la figura di questo sindaco che per storia personale aveva una grande consuetudine con la famiglia di Messina Denaro dal momento che per anni era stato in braccio politico del padre di quest’ultimo”.
Grassadonia continua dicendo: “Abbiamo riconosciuto in questo epistolario il seme per una possibile storia, perché il ritratto psicologico che emergeva di Matteo Messina Denaro era molto interessante e lontano da alcuni stereotipi e aspettative legate alle figure di mafia che siamo abituati a conoscere, e il sindaco sembrava incarnare essenzialmente la tipica maschera della commedia italiana. Abbiamo cominciato a raccogliere una serie di fatti realmente accaduti, perché il film si compone di fatti a volte assurdi ma realmente accaduti, e creato una linea di senso e di interrogazioni che li mettesse insieme, e poi, mentre eravamo in produzione a gennaio, è arrivato l’arresto, che ovviamente come siciliani ci ha riempito anche se è arrivato dopo 30 anni, ma meglio tardi che mai…”, conclude. “E’ iniziato di conseguenza a uscire più materiale, e confrontando il nostro ritratto con questi nuovi dati che emergevano dalle indagine e dalle interrogazioni abbiamo capito che ciò che avevamo messo a fuoco di lui e del mondo che volteggiava pericolosamente intorno a lui era abbastanza fedele, e siamo andati avanti con il lavoro”.
Iddu, una ricostruzione priva di audacia
Liberamente ispirato a fatti accaduti, con i personaggi che vi compaiono frutto però della fantasia degli autori, Iddu nonostante gli si riconosca i buoni propositi e si concentri sul lungo periodo di latitanza dell’ultimo padrino, si perde in riflessioni senza mai andare oltre e giungere così a qualcosa di concreto.
Partendo dal carteggio dei pizzini, Iddu, costruisce infatti una storia di parole non dette, metafore, solitudini e di segreti che appartengono alla cultura della mafia, con una narrazione, a differenza da quanto dichiarato dai registi i quali hanno concepito il film anni prima dell’arresto di Matteo Messina Denaro, che non convince affatto, non sufficientemente audace e graffiante. Troppo imperfetta nella scrittura e nel ritmo che non aggiungendo nulla di nuovo a ciò che già si conosce di lui e della sua storia.
Protagonisti come detto Toni Servillo ed Elio Germano, con il primo la cui interpretazione di Catello dai tratti tipici della commedia napoletana spesso scivola nella rappresentazione di una figura caricaturale, e il secondo messo in un angolo.
“Quando ho letto la sceneggiatura e ho letto questo carteggio, ho trovato tutto talmente inverosimile che ha aperto un’autostrada di verosimilianza”, afferma Toni Servillo. “Per un attore lavorare su un personaggio che deve recitare è estremamente appassionante. Catello è un saltimbanco assediato dalla disperazione che utilizza come strumento una cultura da preside di provincia baroccheggiante, da piccolo amministratore locale, per accettare questo rischio e mettere apposto la sua condizione di un uomo appena uscito da un carcere, patteggiando con gli apparati dei servizi segreti la cattura di Matteo Messina Denaro”, spiega. “Lo fa proprio ricorrendo a questa sua cultura da maschera da saltimbanco, ma la cosa affascinante e che ogni volta che si presenta una situazione è come se andasse in scena. Recita ogni volta che cambia una situazione, ma quando incontra il responsabile dei servizi segreti sul campo per catturare Matteo Messina Denaro si riconosce e l’altro riconosce a sua volta qualcosa. Entrambi si muovono con grande abilità rimestando nel torbido e cambiando le carte in tavolo apparentemente per trovare una soluzione, ma in realtà per fare in modo che le cose stiano sempre un una posizione di stallo”.
In merito al suo personaggio afferma: “Il mio personaggio da al film una cifra grottesca ma lontanissima dall’innocua atmosfera della farsa, piuttosto siamo nell’atmosfera graffiante del grottesco li dove si intende l’intensificare l’interpretazione della realtà per dare un segno più spesso del carattere di quella realtà di cui ci si sta occupando, in modo da ritrovare dietro la facciata dell’insensata ridicolaggine il tragico. Io credo che la domanda più semplice che dovrebbe fiorire nella mente dello spettatore vedendo questo film sia: Ma come è possibile? Come è stato possibile che un paese come il nostro, che vanta una cultura che il mondo ci invidia, non riesca a opporsi a questo universo di tali mediocrità, che a favorito per anni la latitanza di un uomo che aveva la capacità di tenere in scacco una regione e un paese, con la responsabilità che ha una così forte e potente organizzazione criminale. Come è possibile che questo accada”.
Infine Elio Germano dichiara: “Il gusto dell’esibire una cultura e il dimostrare di essere superiore agli altri è una patologia di tutti i personaggi messi in scena in questa storia. Si sentono tutti migliori degli altri, che hanno più diritto degli altri ad avere diritti. Quando sono uscite le prime registrazioni della sua voce dopo il suo arresto è uscito fuori qualcosa di ancora più inquietante e interessante per me come attore, ovvero che parliamo semplicemente di un essere umano capace oltre che di efferatezza anche di sensibilità, di comunicare una certa etica. Tutto questo è perturbante perché vuol dire che allora in ognuno di noi si nasconde la possibilità di diventare una persona così, sostituendo i valori in cui crediamo fortemente con altri valori”, dice Germano. “Viviamo in un periodo storico in cui certi valori che caratterizzano la mafia sono pubblicizzati come condivisibili: la difesa dei propri spazi, territori, della propria famiglia, il sentirsi superiori, il difendere come principale scopo la proprietà privata, il cinismo rispetto al profitto e la fascinazione per le armi, stanno diventando pericolosamente di dominio pubblico e rendono non solo questo personaggio purtroppo umano e il fatto che possiamo essere mossi dalle stesse motivazioni. Questo fa la piccolezza e il ridicolo dei personaggi che ruotano attorno a lui”.
Interpretato Daniela Marra, Barbora Bobulova, Giuseppe Tantillo, Fausto Russo Alesi, Betti Pedrazzi, Antonia Truppo, Tommaso Ragno, Filippo Luna, Rosario Palazzolo, Roberto De Francesco, Vincenzo Ferrera e Gianluca Zaccaria, Iddu arriverà nelle sale cinematografiche il 10 ottobre distribuito da 01 Distribution.
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Emanuela Giuliani
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