Hammamet – Recensione: la contumacia di dolore e rimpianto di Bettino Craxi

“Hammamet” – Recensione: la contumacia di dolore e rimpianto di Bettino Craxi 

“Se trovi qualcuno che ha bisogno lo devi aiutare, ma non se fai politica. Se fai politica ne devi aiutare tanti”.

Gianni Amelio torna ad occuparsi della storia del nostro paese, raccontando gli ultimi brandelli di vita di un politico “sul quale è calato un silenzio ingiusto ed assordante”, un film sul Craxi della fine del secolo scorso. Un uomo cambiato dalla contumacia ad Hammamet, diviso tra la sensibilità e il disprezzo, un uomo di potere che affronta una lunga agonia che lo porterà verso la morte.

Interprete immenso di questo personaggio è Pierfrancesco Favino, che non solo ne è lo specchio fisico, grazie ad un trucco accurato e sapiente, ma ne indossa umanamente la “pelle” attraverso lo stesso sguardo, la medesima pregnante drammaticità, la voce e i gesti ricorrenti delle mani del Presidente, nome con cui viene indicato Craxi per l’intera durata della pellicola, e che ha odore di Italianità.

Il racconto ha inizio dal 45° Congresso Milano Ansaldo, un vertice socialista dove il volto di Craxi viene inquadrato al centro di un triangolo che inneggia ad un occhio di Dio, ma che si rivelerà la punta di quella piramide ben radicata, basata sulla corruzione e il malaffare.

Fiori di garofani rossi spezzati e buttati a terra, presagio forse di un partito che non sopravviverà all’egocentrismo ed alle contraddizioni del suo leader, padre padrone e divo arrogante, benchè privo totalmente di cinismo.

Una storia che lascia nello spettatore la sensazione che sotto la conoscenza pubblica e l’apparente ovvietà della vicenda si nasconda qualcos’altro, un torbido che non deve essere svelato. Una leadership o “ladership”, per un gioco di assonanze e doppi sensi, che in quel periodo aveva un maggiore peso in una scacchiera internazionale molto più complessa.

“I comunisti italiani sono come i ravanelli, rossi di fuori, ma bianchi e gustosi dentro”

Una regia che predilige al taglio documentaristico la messa in scena delle emozioni e dei dolori del Presidente, emersi prepotentemente in Tunisia e letti attraverso le persone che gli erano accanto, sua figlia, sua moglie ed uno strano individuo, Fausto, figlio di un compagno di partito apparentemente suicida.

Fausto, eternamente con lo zaino addosso contenente telecamera e pistola, raffigura il suo “antagonista”, la voce della coscienza, figlio di un uomo che in vita aveva sempre messo in guardia Craxi ed ora filo conduttore del pensiero nascosto e delle ultime confessioni di questo Presidente macerato dall’esilio “forzato” e dai suoi rimpianti, abbandonato alla solitudine ed al diabete.

Uno stile che sembra entrare in punta di piedi nella vita intima dei personaggi, in quel rapporto padre e figlia determinante e determinato e sintonizzato sulle note musicali di Piovani, suoni dell’anima che fanno da contraltare alla recitazione e lasciando emergere la voce delle emozioni.

Un intreccio esile ma tenace, il cambiamento di un uomo anche grazie al contatto con la propria famiglia, che lo rende tenero ma sprezzante, lo incrudisce ma lo tiene vivo, evidenziando i rami secchi di una società in decadenza ed il suo profondo egocentrismo che lo rendeva sordo e incurante. Il ritratto di un personaggio narcisista e sprezzante che si crogiolava nel suo autocompiacimento.

“Tu non pensavi che a scolpirti il tuo monumento e non vedevi che i topi che ti stavano accanto rodevano il piedistallo. Tu sei una vittima del tuo orgoglio, della tua arroganza smisurata”.

Sua figlia Stefania viene chiamata Anita nella pellicola, icona di quel personaggio tanto amato da Craxi che era Garibaldi, simbolo del patriottismo e di quell’amore filiale così presente ed esaltato da Amelio, vero motore trainante e voce del cuore “Anita è un’altra cosa. Ogni volta che la guardo sento il male che mi fanno perchè arriva prima a lei”.

L’importanza dell’essere padre e la ricchezza di avere i figli “restare senza figli è la cosa più atroce” e la stanchezza di quel peso costante per quel figlio maschio, Bobo, rimasto in Italia a combattere per gestire l’eredità politica e riabilitare l’immagine del genitore, così “svilito” dalla mancanza di stima del padre e messo in ombra dal ruolo della “sacerdotessa” Anita.

Intenso il momento nella pellicola in cui Bobo Craxi canta “Piazza Grande” rivolto al padre, un gesto alla ricerca di affetto ed attenzione, che ricorda lo stesso passaggio ne “il Padrino” parte terza. Una colonna sonora parallela composta di musica tunisina e brani della canzone italiana, tra Caterina Caselli, Dalla ed altri, dalle parole significative e musiche evocative.

Ma è soprattutto nei corpi e nei volti dei protagonisti, su cui la camera si sofferma, che il film costruisce la sua memoria parlando il linguaggio del cuore. Amelio li mette sempre al centro della scena e ne coglie gli umori e le preoccupazioni attraverso gli sguardi reticenti, l’andatura indolente ed il rumore dei silenzi.

In questo stesso “sentire umano” la pellicola trova il suo eccesso, generando una dilatazione temporale ed una lentezza narrativa a volte poco sostenibile. Splendide, d’altro canto, le “assonanze visive”, ad esempio la pasta come piatto ricorrente, ma “veleno” per il Presidente, in un “magna magna” generale, anche della stessa società.

Una parabola umana intima, con camei di Renato Carpentieri come ospite “avversario ma mai nemico” e Claudia Gerini nel ruolo dell’amante. La vicenda di un individuo nella sua imponenza, solo davanti all’immensità dell’ambiente che lo circonda, tra il giallo dorato della sabbia, il blu del mare e dei tetti ed il bianco infinito delle case e della luce, tra piani sequenza ed inquadrature intime e “incorniciate”.

Luci soffuse e passaggi continui dai raggi solari alle penombre crepuscolari che scaldano le scene, in un viaggio dalla vita alla morte di un Presidente “privato” della sua terra, ma ad essa eternamente legato in un conflitto finale che è contrapposizione della sua stessa esistenza e della sua discesa nell’abisso dei ricordi.

“Questa vita è un girotondo che abbraccia tutto il mondo e per me la corsa della vita si è fermata negli occhi tuoi”.

Chiaretta Migliani Cavina

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