Marco D’amore al workshop +18 al Giffoni 54: “L’Italia del cinema esporta bellezza e cultura senza avere un sostegno”.
“Siete già stanchi o ve la sentite di affrontarmi?”. Marco D’Amore torna a Giffoni e, in Sala Verde, incontra i ragazzi del workshop +18. Parla di Gomorra e di come quella serie gli abbia “completamente stravolto la vita”. Parla di Caracas e rievoca anche film meno recenti. Soprattutto, rispondendo alle curiosità dei giffoner, parla del ruolo dell’attore, dello sceneggiatore, del regista, ma anche della condizione in cui versa il cinema in Italia. Per lui, tra gli applausi della sala, il Giffoni Award.
È la poliedricità di D’Amore a stimolare i ragazzi, la sua capacità di passare dal teatro al cinema e alla tv, ma anche di svolgere il ruolo di attore, regista e sceneggiatore. “Il teatro e il cinema sono completamente diversi. Cambia tutto – spiega – Credo che una delle cose più complesse per un artista è comprendere la propria natura. Cioè non solo fare i conti con sé stesso, con i propri talenti e le proprie miserie, ma comprendere come innescare una marcia per cui quello che sente di poter fare trova sfogo. Io non mi sono mai sentito un attore, e lo dico nel rispetto di chi si eccita pensando ai ruoli che vorrebbe recitare. Io – confessa – sono sempre stato molto più acceso dai temi e della storia. Quando ho capito questo, ho capito che dovevo mettermi al servizio di altri per raccontare storie. Questa è la mia natura: dormo poco, lavoro tantissimo. Credo di aver compreso abbastanza presto come funziona la mia natura”. D’Amore evidenzia anche l’importanza dello sbaglio: “Non c’è niente di più proficuo che sbagliare”. Rievocando la sua esperienza, da diciottenne, nella compagnia di Toni Servillo, spiega come il periodo di prova che precede la messa in scena di uno spettacolo “non è altro che la messa in discussione di quello che fai”. E ancora: “Quello che è utile è l’errore, l’inciampo, perché ti fa vedere che ci sono altre strade e altre possibilità”.
L’attore, regista e sceneggiatore casertano parla di Gomorra: “Mi ha completamente stravolto la vita sotto tanti punti di vista, mi ha offerto molte possibilità e soprattutto la capacità di osare. Poi quello che ne consegue nella vita sono cose imprevedibili. A oggi – sottolinea – è il progetto più importane a cui ho preso parte perché la nostra serie è andata in 200 Paesi del mondo. Ed è bellissimo avere la dimensione delle reazioni dal mondo”. Rispetto al contesto in cui è ambientata, Scampia, evidenzia come in Gomorra, a differenza che in altre serie, “alle nostre spalle c’è sempre la realtà. I quartieri che vedete sono così, e così sono le strade e la dimensione di emarginazione”. E, precisa: “A dispetto di questo, nonostante i racconti che si fanno, siamo sempre stati accolti forse con fin troppo amore rispetto a quello che siamo riusciti a restituire, con generosità, con fiducia”. Ed è proprio il legame forte con quella realtà che lo porta a tagliar corto sulla tragedia causata dal crollo di un ballatoio alla Vela Celeste di Scampia: “Preferisco far calare su questa tragedia, di cui ancora si aspettano gli esiti, un silenzio dignitoso, perché ho lì troppe persone molto care a me, tra cui il bambino che ha fatto il protagonista de L’immortale e che per me è come un figlio acquisito, che è proprio della Vela Celeste e che stava là”. D’Amore è chiaro: “È annunciata da anni, lo sanno tutti. Quindi, oggi che tutti ne parlano, che si fanno portatori di solidarietà e di vicinanza, ecco, in questo momento io mi taccio”.
Non manca, infine, una considerazione sulla condizione del cinema in Italia: “Questo è un Paese che non va al cinema, non ha un’azienda cinema, che è stato da sempre esportatore di bellezza e cultura senza avere un sostegno. Grido evviva per il successo di Inside Out 2, però dico anche che ci sono grandi film in Italia e non si sa neanche che sono usciti”.