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Giffoni 54: il ritorno dell’autenticità di Alessandro Borghi

A Giffoni 54 il ritorno dell’autenticità di Alessandro Borghi: “Sentitevi liberi di essere ciò che volete essere”.

“Dovete sentirvi liberi di essere tutto ciò che volete essere”. Parola di Alessandro Borghi, l’attore che ha incantato questo pomeriggio il Giffoni Film Festival rispondendo alle domande dei giffoner in sala Truffaut. Sorriso naturale e umiltà, sono i due ingredienti che caratterizzano l’attore che nell’ultimo anno ha interpretato Rocco Siffredi nella serie SuperSex ma che ha emozionato tutti in “Le otto montagne”.

E’ la seconda volta che l’attore si “prende” anche il carpet di #Giffoni e si confronta con i ragazzi, trasformando tutto in una masterclass professionale ma anche di vita. Consigli, richieste, domande e un excursus tra i suoi ruoli. Un attore dalle mille sfumature che sa essere unico e soprattutto vero. Non ha peli sulla lingua e fa della trasparenza la stella polare, anche quando deve spiegare perché ha deciso di interpretare Rocco Siffredi e la storia della vita del pornoattore in SuperSex: “Quando mi chiedono perché rispondo che volevo far arrabbiare un po’ di persone. Io volevo punzecchiare un sistema bigotto in cui non si può parlare di sessualità in una certa maniera. Mi chiedono perché ho interpretato un pornoattore e non perché ho interpretato Aureliano in Suburra che ammazzava le persone. Qui è più grave fare un film porno che sparare alle persone. Io volevo litigare con la gente e l’ho fatto perché non ho lasciato passare niente. Rocco è una persona che ha fatto parte di un sistema enorme ha risposto in sala ai ragazzi che gli hanno chiesto quanto è stato difficile interpretare proprio Rocco Siffredi dove non c’era una regolamentazione. Lui è il primo ora a mettere in discussione delle cose e dei metodi che sono stati utilizzati in quei primi anni. Rocco ha un cuore enorme e conoscerlo è stato incredibile. E’ interessante parlare di sessualità qui, avrei voluto che qualcuno me ne avesse parlato. L’unica cosa che dovete fare è sentirvi liberi di essere quello che volete essere a prescindere da tutto, nessuno può dirvi come vivere la vostra sessualità. Possono provare a proteggervi, come io farò con mio figlio. Il mondo è pieno di cose meravigliose ma strapieno di cose brutte. Vi guardo e vedo il futuro, poi esco e vedo le immagini della guerra tra Israele e Palestina, vuol dire che nel mondo non siamo in grado di scindere il bene dal male ancora. Siamo sovrastati ancora da questa roba e dobbiamo cercare almeno di far parte di quelli che non fanno cose brutte”.

Dal ruolo di Stefano Cucchi a quello di Rocco Siffredi, Borghi ha risposto al come “ci si è sentiti ad interpretare ruoli così diversi”:Ho imparato che tutti gli esseri umani anche quelli che sembrano più forti sono estremamente vulnerabili. L’ho capito davvero guardando Siffredi. E’ una persona che attribuisce alla sua famiglia, la sua salvezza e lo capisco. Non mi sento salvato dall’amore però sento di aver conosciuto delle parti di me che non avrei mai pensato se non avessi incontrato la donna della mia vita. Quello che mi accomuna a lui (Rocco Siffredi) è il modo profondo di vivere tutto anche a costo di farsi male. Accettare il fatto di essere vulnerabili che non è una debolezza ma una fase. Da lui cosa potete imparare? Che un uomo che ha subìto per 20 anni una stigmatizzazione da un sistema che gli puntava il dito contro, adesso è ancora una persona rigorosa con una identità molto forte”.

Un incontro fiume che tocca anche una punta di “politica non politica” attraverso le scelte e il personaggio Stefano Cucchi interpretato in “Sulla mia pelle”:Sono poco attivo politicamente perché credo di dover ancora risolvere delle cose dentro di me, non sento di poter pilotare niente. Esprimo le mie opinioni ma non faccio politica attiva. Per quanto riguarda il caso di Stefano, tutti i pensieri che avevo prima, sono stati confermati dopo ma molto più precisi e fortificati. Il nostro – ha evidenziato l’attore, sollecitato da una giffoner – è un Paese che ha molto a che fare con le etichette e sono sicuro che Cucchi se non fosse stato un tossicodipendente non sarebbe stato ucciso. Ci hanno detto che dovevamo considerarlo diverso, qualcuno ci ha detto di considerarlo pericoloso soprattutto rispetto ad una completa assenza di empatia, una cosa che purtroppo non ci insegnano nelle scuole, dobbiamo impararlo da soli. Questa capacità non ce l’hanno tutti, purtroppo tendiamo a giudicare le cose rispetto alle idee di qualcun altro e quindi andiamo a conclusioni senza sapere assolutamente di quel che parliamo, questo mi ha fatto molto riflettere”.

Borghi “insegna” ai più giovani ma ha anche imparato tanto. A confermarlo è proprio lui: “Ricordati di sentirti sempre la persona meno importante all’interno di una stanza” è l’insegnamento più importante che Peter Mullan – sul set di the Hanging Sun – mi ha lasciato. Tanti gli incontri speciali nella mia carriera, da Claudio Caligari a Valerio Mastandrea, passando per Luca Marinelli (con lui in Le 8 montagne, film che mi ha segnato molto), ma è l’ultimo – quello con il regista Gianni Amelio – ad avermi colpito particolarmente per la sua tempra (un 20enne nel corpo di un 80enne), con lui ho girato il mio ultimo film “Campo di battaglia” con cui andremo a Venezia”.

Infine consigli per gli attori e artisti del futuro:Siate sempre bravi a selezionare ciò che guardate, qualità e non quantità. Per me un bravo attore è colui che non recita, altrimenti lo sta facendo male: è necessario quindi liberarsi dalle sovrastrutture e fare tutto in maniera naturale, il segreto è fare tua quella cosa”.

L’emozione di ricevere il David di Donatello ma per Borghi “oggi vale ciò che abbiamo intorno a noi e la rete di persone che abbiamo costruito, la stima e la riconoscenza, sentimenti autentici della nostra vita”. A lui infine il premio #GiffoniAward, tra un sorriso, l’entusiasmo di essere ancora al #Gff e l’autenticità e semplicità di cui è stato capace nonostante il grande successo.


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