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Giffoni 54: Giovanna Mezzogiorno: “Il ciak è luce”

A Giffoni 54 torna la pluripremiata attrice Giovanna Mezzogiorno, figlia dell’attore Vittorio Mezzogiorno.

Un’eredità importante, la sua, che non ha tradito il peso che porta il suo cognome, Giovanna Mezzogiorno, attrice pluripremiata, è figlia dell’attore Vittorio Mezzogiorno, a cui il #GiffoniFilmFestival è legato da sempre. Un legame confermato dallo stesso ideatore e fondatore, Claudio Gubitosi, che ha aperto l’incontro: “Bentornata a casa, approfitto della tua presenza per fare una promessa importante. Se me lo permetteranno di nuovo, voglio riportare a Giffoni il Premio Vittorio Mezzogiorno”.

Sorride commossa, raccontando che dopo la sua scomparsa conserva un grande rimpianto: “Il mio papà non mi ha visto mai in scena, non ha potuto darmi tanti consigli e suggerimenti. Peccato, era un attore coraggioso, con un rigore maniacale che porto con me a ogni lavoro”. Gli esordi. Il primo, vero e proprio, aveva solo 5 anni “ma non aveva mai pensato di recitare”. Si è formata a Parigi nel laboratorio teatrale di Peter Brook, con il quale ha iniziato a calcare la scena.

Al cinema ha debuttato nel film di Sergio Rubini Il viaggio della sposa. Da allora ha lavorato con vari registi in cinema e teatro, tra questi: Michele Placido, Gabriele Muccino, Ferzan Özpetek, Piero Maccarinelli, Valerio Binasco, Mike Newell, Wim Wenders, Francesca Archibugi, Marco Bellocchio, Cristina Comencini, Gianni Amelio, Daniele Luchetti.

Gli insegnamenti. “Con Rubini, ho imparato dove non andare e dove non mettere mani. Placido mi ha insegnato cosa vuol dire la memoria lunga. Il monologo di Sarah Kane è stato un incubo, ma una vera sfida. Con Bellocchio ho vissuto la conquista di un podio”. Nel 2010, per la sua interpretazione nel film Vincere di Marco Bellocchio, è stata premiata come migliore attrice protagonista con il National Society of Film Critics Award, dall’associazione dei critici cinematografici statunitensi. Interprete straordinaria di respiro internazionale, anche per lei ci sono delle prime volte.

Recentemente ha esordito come sceneggiatrice e regista nel cortometraggio Unfitting che ha presentato alla Festa del Cinema di Roma. Una docu-denuncia sul body-shaming, che scava nella propria esperienza personale, ma in chiave ironica, come lei stessa sottolinea “dopo che mi è passata tanta rabbia”. Un piccolo film autobiografico, che però non è una rivendicazione, ma un percorso intimo tradotto in un messaggio che resti (anche) ai 5 mila jurors, tra ragazzi e ragazze, tanti di loro adolescenti in una età considerata critica: “Ho due figli dell’età loro a cui dico che non bisognerebbe, ma è quasi impossibile, farsi condizionare dal giudizio altrui, soprattutto sul nostro aspetto fisico, in qualsiasi ambito”.

In un momento storico in cui si parla tanto di empowerment femminile, capita ancora che le donne si ritrovino ad essere spesso (e ancora) vittime di pregiudizi estetici. “E’ una cosa molto dura, una scoperta abbastanza sorprendente che all’improvviso conti di più la bellezza che il tuo talento, però è una scoperta interessante. Una volta che lo sai, lo sai”.

Progetti per il futuro importanti che non può ancora sverlare, intanto nel ruolo inedito di scrittrice sta promuovendo il suo ultimo libro Ti racconto il mio cinema (Mondadori), dove si rivolge ai ragazzi (e non solo) per condividere le sue esperienze dentro e fuori dal set, con tante curiosità. Un consiglio su tutti, ai più ambiziosi in sala: “Io non sono il mio personaggio quando sono fuori dalla scena. Non porto mai il cellulare sul set, bisogna stare concentrati quando si lavora. Il momento del ciak è luce”. 


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