Gabriele Muccino a Giffoni 54 si rivolge ai Giffoners dicendo: “Non siate sudditi del tempo, imparate a gestirlo”.
Il regista consegna il “Premio speciale per il miglior spot sociale” a Marco Ludovico di Anas. E parla della sua esperienza e del suo prossimo film.
A Giffoni nel 2017 per ricevere il premio Truffaut, Gabriele Muccino torna al festival del cinema per ragazzi per consegnare, alla presenza del fondatore del Giffoni Film Festival, Claudio Gubitosi, il “Premio speciale per il miglior spot sociale” a Marco Ludovico, direttore della comunicazione di Anas. È di sicurezza stradale e dell’importanza di “gestire il tempo e non subirlo” che il regista e sceneggiatore romano parla ai giffoner, alla generazione della “spunta blu” che, lasciandosi prendere dalla smania di usare il cellulare alla guida, mette a rischio la propria vita. È il tema dello spot di Anas proiettato in sala. Uno spot che, stavolta, prova a insegnare non attraverso un finale tragico.
“Abbiamo fatto una scelta non facile – spiega Ludovico – perché gli spot con il finale tragico li abbiamo già visti tutti. Abbiamo perciò scelto di mandare il messaggio di quello che si può fare. ‘Quando sei alla guida tutto può aspettare’: è questo il messaggio centrale del nostro spot”. Uno spot in cui “gli influencer si bloccano come a dire ‘ci fermiamo, non facciamo niente’. Perché la distrazione alla guida con il cellulare è una dele cause principali dell’incidentalità stradale”.
Muccino si sofferma sul tema del tempo: “Quando siamo alla guida, ci accorgiamo con il tempo quanto sia fragile l’abitacolo in cui si sta e quanto la velocità possa distruggere la macchina”. E racconta: “Io un incidente quasi mortale lo feci in Grecia, per una distrazione, porto ancora le cicatrici. Ci vuole un attimo a fare un errore che comprometterà tutta la nostra esistenza”. Troppo spesso la distrazione è favorita dall’uso del cellulare alla guida: “Quella del telefono è una delle novità assolute che hanno cambiato un’era”. Nel tempo degli smartphone si ha la sensazione di non poter non rispondere a una telefonata o a un messaggio, “come se scappassero via”. Invece, “dobbiamo imparare a maneggiare noi il tempo e a non farci mettere in una condizione di sudditanza. Siamo noi ad avere il controllo del tempo”. Il regista insiste: “È presunzione pensare ‘leggo un attimo, tanto vedo’. Quando prendiamo il telefono non stiamo tenendo d’occhio la strada, stiamo abbandonando la nostra visibilità e la nostra reazione. Questo può farci perdere la vita o farla perdere a chi è con noi o dall’altra parte”.
Del resto, il tema dell’incidente stradale torna più volte nei film di Gabriele Muccino, da L’ultimo bacio a Sette anime. “Sono ossessionato dalla questione del telefono da sempre”, dice. E rivela: “Nella sceneggiatura di 7 anime la storia era quella di un generale della Nasa che si riteneva responsabile di sette morti per l’esplosione di uno Shuttle. Io proposi qualcosa in cui lo spettatore potesse riconoscersi”. Da qui l’incidente provocato dalla distrazione alla guida a causa dell’uso del telefono. Muccino racconta: “L’incidente è l’interruzione fatale di un’esistenza. Io ho usato altre volte l’incidente nei miei film. Ho usato spesso le auto come deus ex machina, come elementi drammaturgici che creavano una fatalità, quindi una crisi fortissima all’interno della storia e del personaggio”.
Non solo sicurezza stradale. Sono tante per Muccino le domande dei giffoner, affascinati dalla sua esperienza a Hollywood. Eppure, il regista è chiaro: “Mi trovo completamente a mio agio e felice a fare i film in Italia, perché l’importante è esprimersi. Il primo e forse unico obiettivo – sottolinea – è quello di potersi esprimere attraverso il cinema, poi non importa se la collocazione di un film sarò in Italia, in Europa, negli Stati Uniti”. Del resto, la sua presenza negli Usa è iniziata un po’ per caso, “non sono cose che puoi disegnare a tavolino”. E racconta: “Il primo film, L’ultimo bacio, vinse un festival importante americano e lì trovai un’agenzia che si interessò a me e poi mi arrivarono i copioni”. Tutto è accaduto in fretta: “In pochi mesi mi ritrovai sul set con Will Smith.
Muccino parla anche dei suoi esordi e racconta di come la balbuzie sia stata “il propulsore più importante” per la sua carriera. “Se ho fatto cinema – dice ai ragazzi – è stato perché intorno ai 16 anni balbettavo molto. Il cinema è stato il mio modo per raccontare chi fossi e dare agli altri qualcosa di me attraverso il corpo degli attori. Per cui quella sorta di handicap è stato il propulsore più importante perché io perseguissi con tenacia e con impeto quella strada”. Una carriera iniziata con i cortometraggi: “Ho fatto tutte le scuole possibili. Poi tutte le cose teoriche che ho fatto le ho dovuto abbandonare perché non erano abbastanza pragmatiche”. La vera scuola, insomma, sono stati i cortometraggi: “In quella scuola lì ho sbagliato e ho imparato moltissimo. Quando ho sentito di essere pronto a debuttare, avevo 29 anni, ho scritto un film e l’ho proposto a un produttore. Nei primi tre film ho sempre sentito di crescere”.
Più volte nelle parole di Muccino, torna il concetto dell’intuito. “Come scelgo i temi? A volte vengono come colpi di fulmine”, dice. Tanto che “i film che sono venuti meglio sono stati illuminazioni veloci. Devo dire – ammette – che è un po’ dono intuire che storia raccontare e se la storia possa interessare il pubblico. È un dono che non sempre riesce. Fa parte di un istinto che hai nella voglia di raccontarti e di raccontare”. E se, tra i suoi film, dice di non averne uno preferito, precisa: “Sono molto legato al film che sto facendo. Poi, quando esce, penso già al prossimo”. Eppure, “ci sono film a cui voglio bene perché mi hanno dato più soddisfazione, sono stati visti da più persone, hanno avuto riconoscimenti speciali”. Insomma, “ci sono film a cui voglio più bene e altri a cui non voglio bene”.
Non manca una considerazione su Will Smith. “È un grande professionista. Una concentrazione così forte e assoluta su un progetto non l’avevo mai conosciuta prima di conoscere lui. Ha una forza interiore veramente stupefacente, quando entra in una stanza l’energia cambia letteralmente. Lavorare con lui mi ha fatto capire cosa sia darsi fino in fondo, cosa siano la disciplina e il rigore che questo mestiere richiede”.
Prima dell’incontro con i giffoner, rispondendo alle domande dei giornalisti, Gabriele Muccino parla del suo prossimo film, Fino alla fine, al cinema dal 31 ottobre. “Il tema è un’avventura di una ragazza che in una notte è costretta a fare delle scelte. E le scelte che farà la porteranno in direzioni che mai avrebbe immaginato. È un po’ come uno scambio del binario che ci porta in una direzione diversa, lontana, pericolosa rispetto a quella che pensavamo di percorrere”.