Giffoni 2022: Valerio Nicolosi a Impact!: “Cambiate il sistema dal basso creando dissenso e consapevolezza”
Tutti in piedi per Valerio Nicolosi. Dal campo di Moria, prima e dopo che andasse a fuoco, al mar Mediterraneo, a bordo delle navi delle Ong per salvare vite umane, oltre che per fotografarle. Dalla striscia di Gaza alle rotte dei migranti in fuga dalle guerre. E, solo qualche mese fa, in Ucraina. Il giornalista, regista e fotografo coinvolge, commuove, pungola i giffoner della Impact! Senza nascondere la sua gioia di essere a Giffoni: “Grazie per avermi voluto qui. Quando mi è arrivato l’invito ho risposto alla mail subito. È una bellissima esperienza, non c’ero mai stato e mi sembrava una bellissima occasione da cogliere”. I racconti e gli scatti fotografici di Nicolosi che scorrono sullo schermo della sala Blu suscitano tante domande miste a riflessioni. Su tutti, campeggia il tema della dignità.
“Mi sono dato una regola, la dignità” – spiega il giornalista – “Cerco sempre di non ledere la dignità delle persone che sto raccontando, vive o morte. I morti non li fotografo. Oppure, se le faccio, le foto restano in archivio, non le pubblico. Cerco di raccontare le persone in modo che abbiano una dignità anche quando sono private di tutto. Restituire loro una dignità – dice – è la priorità del mio lavoro. È una questione etica”. Ma come scegliere, come capire cosa raccontare e cosa no? “Vado e emozione, provo a capire se quella persona, quelle persone, quel contesto raccontato in quel modo abbiano una loro dignità”. Soprattutto, spiega, “è importante sapere ascoltare. Se si sa ascoltare poi si racconta in modo che tutto sia più fruibile, anche dal punto di vista culturale, quel messaggio che si raccoglie”. Naturalmente “bisogna dare un contesto. Ma saper ascoltare dà la possibilità di provare a riportare ciò che è giusto riportare”. Tante le emozioni e le riflessioni che l’incontro suscita. Dal senso di impotenza rispetto a certe realtà al senso di colpa per situazioni che si ignorano: “Chiudiamo gli occhi rispetto, ad esempio, a ciò che accade a tre ore mezzo di machina da Trieste, appena fuori da casa nostra”. E ancora: “Un anno fa eravamo tutti afghani, adesso siamo tutti ucraini. Ma poi chiudiamo gli occhi sulle conseguenze di queste guerre, che sono le rotte migratorie”.
Emerge anche il tema della difficoltà che un reporter ha di tornare alla normalità: “Non è facile” – confessa – “Se non ti nasce quel pelo sullo stomaco ti senti un disadattato”. E racconta di aver elaborato una “teoria dei cassetti: li apri e li chiudi uno alla volta, perché se non riesci a chiuderli ti invadono il resto della vita ed è un problema”. Non manca una riflessione sull’invasione russa dell’Ucraina: “Credo che questa guerra l’abbiamo percepita più vicina di altre, ma siamo circondati da guerre. La percezione di pace che abbiamo in Europa” – spiega Nicolosi – “è frutto di un sogno di pace europeo. La pace però si ferma fuori dalle nostre frontiere, fuori da quella che chiamo per i migranti la ‘fortezza europea’”. E ancora: “Questa guerra ci ha colpito tanto, ha messo in discussione le nostre stesse vite. Aleppo è più vicina di Mariupol, eppure questa guerra ci ha fatto cambiare la prospettiva della guerra, della pace, della vita. Ci ha fatto capire che la guerra è possibile nel 2022, non è andata via”. Citando Gino Strada, “per me un faro, ‘io non sono un pacifista, io sono contro la guerra’, dico che oggi dobbiamo capire che dobbiamo cercare di costruire un modo senza le guerre, e non solo dentro casa nostra”. Da qui anche una considerazione sul giornalismo in Italia. “Sono imbarazzato per la categoria” – taglia corto – “Io mi sono chiamato fuori dal racconto della guerra in Ucraina, perché un attimo prima sei etichettato come filo ucraino e un attimo dopo come filo Putin”. E sul racconto che del conflitto fanno i media in Italia, è chiaro: “Credo che ci sia stato un appiattimento imbarazzante”.
Tanti i racconti dal campo che Nicolosi dona ai giffoner, visibilmente emozionati. Dal salvataggio delle vite in mare aperto all’aiuto a una famiglia afghana in fuga, dal rogo del campo di Moria all’esperienza nella Striscia di Gaza. Dove è nato un progetto a “cui tengo molto, Be filmaker a Gaza. Nel 2014 abbiamo raccolto studenti e studentesse della striscia, uomini e donne insieme” per raccontare Gaza come non viene raccontata. “Di fatto di Gaza viene raccontata solo la guerra, in rete ci sono solo foto di guerra. Ho detto ai ragazzi di auto raccontare Gaza, di farla conoscere al mondo. Io li ho aiutati, ma la raccontano loro”. Prima di ricevere la standing ovation della platea e il Premio Partenope, un appello ai giffoner: “Ragazzi, la palla è in mano a voi. Prima di fare questo lavoro ho provato a cambiare il modello di società”. Dunque, “il sistema va cambiato dal basso: create dissenso, create consapevolezza”.
La Redazione